di BARBARA BERNASCONI
Di carattere disponibile e con un sorriso contagioso, Simonetta Biaggio-Simona racconta com’è diventata la donna in carriera che è oggi, partendo dai suoi primi allestimenti da professionista indipendente fino alla carica di capo dell’ufficio dei beni culturali del Canton Ticino, nel 2014.
Qual è stato il suo percorso di studi? E come ha trovato lavoro?
Dopo la maturità letteraria ho ottenuto una laurea da privatista che mi ha garantito l’accesso all’università di Zurigo. Lì ho seguito corsi di archeologia classica, di storia dell’arte e sulla preistoria. Poi, per il master, ho scelto l’archeologia classica, elaborando un catalogo ragionato dei vetri romani ticinesi. Grazie a questo lavoro ho iniziato a collaborare sia con il fondo nazionale sia con l’ufficio dei monumenti storici. La mia vita è poi ufficialmente cambiata con il concorso per diventare capo dell’ufficio dei beni culturali.
Nel corso della sua carriera ha partecipato all’allestimento di mostre, sia come collaboratrice che come responsabile vera e propria. Tra le varie mostre che ha curato in prima persona o alla quale ha partecipato, ne saprebbe indicare una che per lei spicca sulle altre?
Una sfida impegnativa è stata l’allestimento della mostra sui leponti nei primi anni 2000, in collaborazione con la città di Locarno e i servizi culturali. I leponti nello specifico furono una popolazione antica del periodo celtico che abitarono una parte del nostro territorio, l’alto Vallese, la Val d’Ossola e una parte della Lombardia occidentale. Nonostante le difficoltà incontrate è stata un’esperienza che ha ampliato gli orizzonti di una tematica rimasta marginale per molto tempo.
Potrebbe illustrarmi in cosa consiste il lavoro di tutti i giorni del capo dell’ufficio per i beni culturali?
Il nostro ufficio si suddivide in tre grandi settori. Il primo si occupa dell’inventario dei beni culturali. Il secondo si occupa invece dei monumenti ed è competente riguardo a tutti gli interventi di restauro e ampliamento. Infine, il settore di archeologia si occupa di tutti gli scavi d’emergenza dettati da nuove edificazioni in perimetri d’interesse.
Qual è stato l’impegno più grosso profuso per il mantenimento di un bene culturale sul suolo ticinese?
Il restauro del teatro San Materno ad Ascona, edifico commissionato per le esibizioni della ballerina Charlotte Bara e risalente al 1928. Non fu facile portarlo a termine dato che si trattava di un edificio richiedeva l’impiego di materiali particolari.
Potrebbe parlarci del progetto inerente all’antico villaggio di Prada? Come nasce, chi coinvolge e a quali obbiettivi mira?
Prada è un insediamento tardomedievale collocato sopra Ravecchia e composto da circa una trentina di edifici. Nonostante sia stato abbandonato nel corso del 1600 è tutt’oggi ancora ben visibile. Approfondendo la sua storia si è arrivati a creare una fondazione e a richiedere al cantone di poter tutelare Prada a livello cantonale. Ciò nel concreto comporta la possibilità di accedere a sussidi cospicui e al contempo pone delle condizioni ben precise su come dev’essere restaurato e conservato il sito. In futuro speriamo possa diventare un esempio didattico di com’era la vita in questi villaggi a mezza costa di montagna.
Sicuramente il suo è un lavoro molto interessante, che permette di mantenere in vita e attualizzare un passato andato ormai perduto. Tuttavia, negli ultimi anni il mondo del lavoro è cambiato sotto molti aspetti. Secondo lei, questo cambiamento come influisce nel suo ambito?
Nel mondo dell’archeologia è sempre stato difficile trovare lavoro e probabilmente lo è ancora oggi, tuttavia la situazione varia da cantone a cantone. Ci sono zone in cui le archeologie cantonali sono maggiormente sviluppate e dunque si ricercano collaboratori e collaboratrici formati. In generale risulta più agevole essere legati a musei come l’Anticum Museum di Basilea o esercitare all’interno d’istituzioni. Due fattori da tenere in considerazione sono inoltre la flessibilità negli spostamenti e la disponibilità a lavorare anche in settori distinti dal proprio campo di formazione.
Dato che il suo mestiere tiene ampiamente conto della dimensione storica, lei personalmente in che rapporto si trova con il suo passato?
Sicuramente come forma mentis sono una persona che esamina il proprio passato, cercando dei riferimenti che possano essere interpretati alla luce del presente. Una simile azione fornisce gli strumenti per rispondere alla domanda “come possiamo porci davanti a questa situazione evitando di ripetere errori già commessi?”. In questo senso la mia generazione non è stata molto brava e abbiamo fatto parecchi danni. Il mio invito ai giovani è dunque quello di approfondire il passato, per costruire un futuro migliore.