di ELENA BEZZI CERVINI

Lucia è divisa tra presente e passato. Sua figlia, Amanda, è tornata da Milano, dove aveva iniziato l’università, svuotata e sfuggente, e Lucia non capisce: cosa deve fare lei, come madre, per riportarla alla realtà? Ne L’età fragile, anche il passato della protagonista si insinua nella sua quotidianità, tormentandola: durante un’aggressione, due ragazze, sorelle, sono state uccise e una è sopravvissuta, Doralice, sua amica.
La lingua con cui Di Pietrantonio scrive è asciutta, diretta: un susseguirsi di immagini come fotografie di persone e paesaggi di cui si colgono particolari. La narrazione sembra quasi in movimento, dinamica si snoda tra quel che è e quel che è stato, si alternano emozioni, cambiano paesaggi tra città e campagna. Nonostante la voce narrante sia una, quella di Lucia, nel romanzo sembrano confluire diverse voci: si coglie un po’ di Amanda, di Rocco, di Doralice. La moltitudine di voci contrasta con l’incapacità di comunicare dei personaggi. Lucia non trova le parole per rivolgersi a sua figlia, non sa cosa dire a Doralice. Rocco, il padre di Lucia, non dimostra affetto, non sa come farlo. Amanda si chiude in sé stessa e sprofonda nel non detto.
Ed è proprio quest’incomprensione reciproca, questo sfuggirsi dei personaggi la ragione della fragilità. Di Pietrantonio suggerisce che, per quanto doloroso, condividere può aiutare. Infatti, nel momento in cui Amanda scopre il delitto, avvenuto al Dente del Lupo trent’anni prima, comincia ad animarsi, il suo guscio si schiude, debolmente. L’età fragile non è solo una, ma sono tutte: in ogni momento della vita ci si può sentire soli, esposti.
All’incapacità di comunicare viene accostato il senso di colpa. Forse Lucia avrebbe dovuto essere più presente per Amanda, quando era sola in una grande città, forse non sarebbe mai dovuta andare al mare senza Doralice quel fatidico giorno dei loro vent’anni. Lucia non riesce, non sa come parlare a sua figlia e nemmeno a Doralice, dopo il femminicidio. Si sente imprigionata nella sensazione di impotenza che la allontana dalle persone da lei amate, una distanza che non sa come colmare.
È attraverso la figura di Lucia e la sua interiorità che il passato e il presente si intrecciano e si specchiano. Amanda è un enigma per Lucia, come lo è stata Doralice. Il rapporto madre e figlia richiama quello tra le due amiche. Il problema sussiste: Lucia ha la sensazione di perdere entrambe e non sa come fare per fermare il vuoto che, espandendosi, le separa. Quella con Doralice sembra essere una separazione definitiva, e non solo emotiva, ma anche geografica: si era trasferita in Canada dopo l’omicidio. Amanda ha tentato una fuga, è andata a Milano, ma è tornata. Anche in questo caso, l’allontanamento fisico ha indebolito il rapporto tra madre e figlia, ma alla fine del romanzo sembra aprirsi uno spiraglio, una possibilità di ricongiungimento che, però, rimane sospesa, non sappiamo se avverrà o no.
La dualità percorre tutto il romanzo: madre e figlia, due amiche, padre e figlia, passato e presente, campagna e città. Il paesaggio di campagna si divide anch’esso in due anime: una accogliente, l’altra minacciosa. Lucia ha sempre visto il Dente del Lupo come un posto in cui rifugiarsi, in cui vivere la propria gioventù spensierata. Poi, il bosco si incupisce, il femminicidio spezza la tranquillità della collina. Lucia, allora, si allontana, ma sarà Amanda a riavvicinarla a questo luogo fermo nel tempo. È possibile, quindi, recuperare posti perduti? E le persone?
Nel romanzo, si incontrano vari personaggi, si vivono le loro tante vite e si affrontano molti temi, forse troppi? La fragilità, l’incomprensione, i sensi di colpa sono accompagnati dalla violenza di genere, dall’ambientalismo, dal rapporto tra genitori e figli, dal luogo di origine che accoglie e ferisce, dalla separazione. Alcuni di questi, rimangono poco sviluppati e, a volte, approssimativi. Un aspetto poco convincente è la figura dell’aggressore. Rientra nell’idea “normalizzata” dell’uomo insicuro, fragile, solitario, ma visto da tutti come buono e innocuo, che, però, d’un tratto commette un atto violento: stupra e uccide due ragazze. La spiegazione di questo atto in cosa risiede? È solo la sua solitudine il fattore scatenante? L’assassino è una figura ancora una volta legata all’eccezionalità, il delitto commesso in preda a un raptus, un momento di follia. Ma colui che uccide è un pazzo o è un uomo che, in quanto tale, si sente in potere di uccidere una donna?
