Da Losone alle Olimpiadi di Rio
Ajla Del Ponte racconta la sua esperienza brasiliana

DI MATTIA DARNI

 

Incrociandola per i corridoi dell’Università sembra una comune studentessa della facoltà di lettere; l’apparenza, però, inganna e Ajla Del Ponte nasconde qualcosa di straordinario. La losonese, infatti, lo scorso mese di agosto ha partecipato alle Olimpiadi di Rio, gareggiando nella staffetta 4x100m femminile. Un traguardo enorme per una ragazza che, a soli vent’anni, è riuscita già a coronare il sogno di ogni atleta. La sopracenerina, inoltre, era l’unica rappresentante del Ticino in tutta la delegazione olimpica elvetica.

Ajla Del Ponte è finalmente riuscita a rendersi conto di quanto fatto due mesi fa in Brasile?

© Ulf Schiller

© Ulf Schiller

No. Recentemente, però, ho preparato una presentazione per delle scuole elementari e, per ottenere l’attenzione dei bambini, ho dovuto mostrare loro molte immagini e video. Vedendoli, ho cominciato a prendere coscienza di quanto accaduto in agosto anche se, in sostanza, non riesco ancora a capacitarmene.

Quali sono state le tue emozioni quando hai ricevuto la convocazione per le Olimpiadi, considerando che il tuo sogno era Tokyo 2020 e non Rio 2016?

Visti i risultati molto positivi che ho ottenuto nell’ultimo anno, in un certo senso me l’aspettavo, ad ogni modo, una volta ricevuta la convocazione per Rio, la felicità è stata enorme, avevo il sorriso che andava da un orecchio all’altro. Devo anche ammettere che, pur non avendolo mai dichiarato alla stampa, da quando ho iniziato ad allenarmi a Losanna all’interno di gruppo composto da atlete che avevano come scopo il Brasile, pure io ho rivisto verso l’alto i miei obbiettivi.

Come hai appena detto, la tua partecipazione ai Giochi Olimpici non è stata casuale, nell’ultimo anno sei riuscita a stabilire il nuovo record ticinese sui 100m al Meeting di Lucerna, a ottenere un bronzo, sempre nella stessa disciplina, ai campionati svizzeri e a fissare il record svizzero nella staffetta 4x100m agli Europei di Amsterdam. Ti aspettavi questa crescita esponenziale? Come te la spieghi?

Sì, in parte mi aspettavo un miglioramento nelle prestazioni perché ho cambiato l’allenatore e il modo di allenarmi; certo non credevo di ridurre di 30 centesimi la mia prestazione sui 100m.

Finora abbiamo parlato di dove sei arrivata, ma Ajla Del Ponte come e quando si è avvicinata all’atletica leggera?

Da piccola ho praticato diversi sport (pattinaggio artistico, pallavolo, unihockey), ma, a essere sincera, non avevo mai preso in considerazione l’atletica. In seguito, con la scuola, gareggiai alla UBS Kids Cup ottenendo un risultato piuttosto buono nonostante non facessi alcun tipo di allenamento. Mia madre decise così di iscrivermi alla società locale di atletica e da lì tutto è cominciato.

Torniamo a Rio, come si svolgeva la tua giornata tipo? Hai avuto modo di assistere ad altre competizioni? E di visitare la città? Se sì, che idea ti sei fatta della metropoli, soprattutto da un punto di vista sociale?

La sveglia suonava alle otto e la mattina era dedicata agli allenamenti. Il pomeriggio, però, era libero: così ho potuto assistere dal vivo al beach volley e alla scherma; le altre gare, invece, le ho guardate dal villaggio olimpico. Dopo la staffetta, abbiamo dedicato un giorno alla visita della città. Devo dire che ci siamo recate solo nelle zone considerate sicure come il Pan di Zucchero o Copacabana. Ad ogni modo, quello che colpisce sono le enormi spaccature sociali; Rio è una città in cui convivono fianco a fianco persone molto povere e altre molto ricche, mentre sembrerebbe mancare la classe media.

Tra i tanti momenti magici vissuti a Rio, c’è stato pure l’allenamento con Usain Bolt. Com’è stato?

La prima cosa che bisogna dire è che, in uno sport come l’atletica, è piuttosto usuale incontrare atleti blasonati sullo stesso campo di allenamento e io devo ammettere che mi emoziono anche quando incrocio persone poco conosciute al di fuori del mondo dell’atletica leggera; chiaramente, poi, Bolt è un personaggio e, quindi, vederlo dal vivo è sempre speciale. Quel giorno è stato più difficile del solito trovare la concentrazione poiché capitava spesso di guardare nella sua direzione per vedere la maniera in cui si allenava.

Veniamo al giorno della gara, come lo hai vissuto?

Se c’è un’espressione che può riassumere quella giornata è “stress”. Mi sono svegliata alle 6:30 (si correva alle 11:30, n.d.r.) e ho cominciato a saltellare per tutta la stanza tanto che, a un certo punto, la mia compagna di camera, che ha più esperienza di me, mi ha detto di calmarmi perché non avrei potuto andare avanti così per l’intera mattinata. Arrivata sulla pista di riscaldamento, comunque, la concentrazione per la corsa ha prevalso sull’agitazione. Una volta entrata nello stadio, però, il respiro mi è nuovamente venuto a mancare.

Purtroppo, da un punto di vista sportivo, non siete riuscite a raggiungere la finale. Immagino abbiate analizzato a fondo la gara. Cosa è che non ha funzionato? Cosa lascia, ad ogni modo, questa semifinale olimpica ad Ajla Del Ponte?

Subito dopo la corsa si pensava che ci fossero state delle imperfezioni nei cambi. Poi, però, analizzandola, ci siamo accorti che il problema non è stato quello bensì la forma individuale di alcune delle staffettiste che hanno corso su tempi al di sotto delle aspettative. Va tuttavia detto che per tre atlete su quattro era la prima Olimpiade e quindi si è pagata l’inesperienza nel gestire lo stress. Pochi giorni dopo la fine dei Giochi Olimpici, ho corso i 100m ad Athletissima e ho nuovamente ottenuto un buon risultato. Ad ogni modo, al di là della mancata qualifica, questa gara è stata molto importante in quanto mi ha permesso di capire come gestire meglio in futuro le situazioni di stress.

Immagino che fosse la prima volta che eri al centro dell’attenzione mediatica. Che effetto ti ha fatto concedere tante interviste, partecipare alle conferenze stampa e vedere la tua faccia sulle prime pagine delle testate ticinesi?

È molto strano, anche perché sono una persona piuttosto timida.

Durante il soggiorno brasiliano, Ajla Del Ponte consultava i media ticinesi e svizzeri per vedere cosa si diceva su di lei oppure evitava in quanto potevano deconcentrarla nella preparazione della staffetta? Dopo la corsa, invece, eri curiosa di sapere cosa si diceva della tua prestazione?

Devo dire che non guardo o leggo mai un’intervista che ho rilasciato poiché non mi piace rivedere le mie dichiarazioni. Durante il tempo passato in Brasile, sia prima che dopo la gara, non ho mai guardato cosa si diceva su di me perché non mi piace essere al centro dell’attenzione.

Immagino che, a questo punto, Tokyo 2020 rimanga un obbiettivo. Le ambizioni rimangono le stesse di quest’anno, ovvero partecipare con la staffetta 4x100m, o per l’appuntamento nipponico punti pure ai 60m, ai 100m e ai 200m individuali?

No, chiaramente la staffetta rimarrà sempre la mia disciplina preferita e quindi mi piacerebbe farne parte, per Tokyo, però, vorrei qualificarmi individualmente per i 100m e, magari, anche per i 200m.

Finora abbiamo analizzato l’esperienza olimpica dal tuo punto di vista. La tua famiglia, invece, come ha vissuto, dal Ticino, quest’avventura brasiliana?

Tutta la mia famiglia mi ha seguito tantissimo; mia zia, per esempio, ha preparato uno striscione per sostenermi e mio nonno, a quasi novant’anni, è stato sveglio fino a notte fonda per vedermi sfilare alla cerimonia di apertura.

Nella tua vita, ad ogni modo, non c’è soltanto l’atletica, infatti studi all’Università di Losanna. Sono state le tua ambizioni in campo sportivo a farti scegliere l’UNIL o hai deciso di proseguire ad allenarti nel Canton Vaud in quanto Losanna possiede un’università prestigiosa?

La scelta di Losanna è stata dettata tanto dall’atletica poiché sapevo che avrei trovato un allenatore molto preparato e un gruppo di allenamento in cui quasi tutte le atlete avevano come obbiettivo le Olimpiadi. Losanna, inoltre, mi piace moltissimo come città e pure questo ha influito. Poi, comunque, scegliendo la cittadina vodese sapevo che avrei trovato un’università di ottimo livello, inserita in un contesto geografico molto bello e suggestivo.

Cosa studi di preciso?

Per quanto riguarda il mio percorso accademico, sono iscritta nella facoltà di lettere nella quale studio italiano, inglese e storia.

Non è un po’ strano che un’atleta olimpica non abbia scelto di studiare sport? Come mai questa decisione?

Con tutte le ore di allenamento che faccio, aggiungere altro sport sarebbe eccessivo per me e per il mio fisico. Ammiro i ragazzi che, oltre a fare sport a livello agonistico, studiano anche questa disciplina, ma io non riuscirei mai a reggere una situazione simile.

Il rapporto tra sport a livello agonistico e studi superiori è spesso molto complicato, come riesci a combinare queste due componenti della tua vita?

Quando mi fanno questa domanda rispondo sempre che è un buon quesito perché non lo so nemmeno io. Non avendo altra scelta, cerco un po’ di adattarmi. Mi capita spesso di dovere lasciare le lezioni prima della fine, oppure di allenarmi da sola, ma sono sacrifici che si fanno.

Ajla Del Ponte da grande vorrebbe fare…

Non lo so (e poi scoppia in una risata scrosciante, n.d.r.).