di Cristian Rossatti
L’animale notturno, pubblicato da Giunti, è il secondo romanzo di Andrea Piva, sceneggiatore di LaCapaGira, film d’esordio uscito nel 2000, di Mio Cognato, uscito nel 2002 e di Galantuomini, datato 2008. L’esordio narrativo risale al 2006 con il romanzo Apocalisse da camera, pubblicato da Einaudi. Nel 2009 Andrea Piva comincia la sua carriera come giocatore di poker professionista diventando nel giro di poco tempo un nome importante nella scena internazionale del gioco d’azzardo. Questo particolare biografico non è di poco conto poiché Vittorio Ferragamo, il protagonista del romanzo, trova anch’esso nel poker la sua strada ideale, la sua professione definitiva, cominciando con semplici partite online fino ad accedere a un prestigioso torneo internazionale e riuscire a guadagnare una considerevolissima cifra. L’immedesimazione dell’autore nel suo personaggio è percepibile ancora maggiormente considerando il passato di Ferragamo, che conosce un travolgente successo non ancora trentenne proprio grazie a una sceneggiatura cinematografica; successo, nel caso di Vittorio, presto dissipato, assieme alle prospettive di nuovi incarichi professionali nel mondo del cinema, anche per colpa del suo carattere un po’ troppo istintivo e della sua testa calda.
Il racconto è narrato in prima persona e l’ambientazione nella quale si svolge la quasi totalità del racconto è la città di Roma, o meglio un quartiere signorile della capitale italiana in cui il protagonista si impone di andare ad abitare, ben sapendo di non poterselo permettere, un po’ con l’intento di invertire superstiziosamente la serie di sfortunati eventi legati alla cinematografia e un po’ per vivere nel bel mezzo dell’alta borghesia romana, secondo la strampalata idea che per diventare ricchi (obiettivo esposto da Ferragamo fin dall’inizio del romanzo e raggiunto proprio grazie al gioco d’azzardo) la prima cosa da fare sia sembrare ricchi e, per fare questo, vivere dove vivono i ricchi. Il personaggio tratteggiato da Piva, come fa giustamente notare Claudio Giunta nella sua recensione su “Il Sole 24 Ore”, è un moralista accanito: mai disposto a scendere a compromessi con il mondo del cinema per ricevere qualche incarico che lo farebbe tuttavia dubitare della sua integrità artistico/morale, Ferragamo è prontissimo a classificare agenti immobiliari come sanguisughe che campano sulle disgrazie altrui, i produttori come incapaci e semianalfabeti e gli attori come falliti, per giunta inconsapevoli del loro fallimento. Tutto ciò sempre con molta ironia (anche rivolta a sé stesso e alla sua situazione al limite della disperazione), spesso mista ad amarezza vista la decadenza morale della società di cui inevitabilmente fa parte e spesso rivolgendosi al lettore chiamandolo direttamente “lettore”, creando così un rapporto più intimo che ce lo rende simpatico e vicino. Un altro aspetto che aumenta il grado d’identificazione tra protagonista e lettore è la presenza di svariate riflessioni di Ferragamo (spesso introdotte proprio dall’appello “lettore”, come a richiamare l’attenzione) sulla vita in generale e sulle situazioni a cui quest’ultima lo sottopone, riflessioni sulle conseguenze delle scelte prese e su crucci esistenziali, potenzialmente condivisibili da chiunque.
I personaggi che abitano la Roma rappresentata da Piva e che orbitano intorno al suo protagonista appartengono a diverse classi sociali e sono caratterizzati in modi diversi. Da Liliana, studentessa universitaria, entrata e uscita dal giro della droga, al signor Testini, ricchissimo anziano in pensione con un passato in politica e una passione sfrenata per il gioco d’azzardo, passando per Gigi, avvocato coetaneo di Vittorio, suo grande amico e tossicodipendente fuori controllo. I personaggi hanno una propria definizione caratteriale che ci perviene tuttavia tramite la percezione che il narratore ha di loro: è così che nascono delle disillusioni condivise anche dal lettore come, ad esempio, quando Vittorio si rende conto che l’episodio sgradevole di Gigi non ha avvicinato lui e Liliana come pensava, ma, al contrario, li ha allontanati.
L’animale notturno è dunque un libro con una trama avvincente, quasi mai banale e sempre credibile. Privo di particolari ricercatezze stilistiche, di lettura scorrevole e piacevole, è arricchito da un lessico che si rifà spesso alla lingua parlata, dall’impiego di più registri e, nel caso di alcuni dialoghi, anche dall’utilizzo del dialetto napoletano che ne aumenta l’espressività linguistica. Il punto forte del romanzo resta comunque la rappresentazione che Piva ci offre di Vittorio Ferragamo: un personaggio immerso nella contemporaneità, confrontato con impellenti problemi economici che, anche se risolti, non lo porteranno in ogni caso a una piena gratificazione; un personaggio tipico, come dice Niccolò Scaffai nella sua recensione al romanzo pubblicata su “Le parole e le cose”, dei suoi – e quindi anche dei nostri – tempi.