di ELENA BEZZI CERVIGNI

Maria Rosaria Valentini è una scrittrice e poetessa italiana, traferitasi in Svizzera. È autrice di un’ampia produzione letteraria – che comprende racconti, romanzi e poesie – per la quale ha ricevuto riconoscimenti, tra gli altri il premio umanistico “Onor d’Agobbio” per il romanzo Magnifica (Sellerio, 2016) nel 2016.
Come si è avvicinata alla scrittura?
L’ho fatto senza sapere che fosse scrittura. I miei genitori lavoravano in posta, da piccola, sui moduli vuoti per il telegramma, praticavo dei segni che, per me, erano racconti. Mio padre raccontava tante storie che inventava e dedicava a me. Ne ero affascinata e anch’io volevo avere le mie, così ho cominciato a crearle. Poi, crescendo e scegliendo le mie letture, la mia botanica della scrittura si è ampliata.
Ci sono alcuni argomenti che la spingono a scegliere la poesia piuttosto che la prosa?
Spessissimo nella mia prosa c’è della poesia: non riesco a distinguerle in maniera netta. Secondo me, la poesia è nel quotidiano: mi pare dilagante e io la inserisco anche nei testi di prosa. Quando scrivo poesia rispetto sempre la brevità perché secondo me dev’essere come una fotografia, un flash, un lampo.
Si occupa anche di editoria: cosa cerca nelle storie che pubblica con GiraffeBianche Edizioni?
La mia è una casa editrice che privilegia racconti dedicati alla diversità, ma anche all’imprevisto e all’imperfezione perché essere imperfetti ha un valore. L’ho fondata nel 2020 perché mi è sembrato necessario, in quel momento, pensare all’infanzia e alla fragilità che attraversavamo come umanità. L’infanzia contemporanea è un po’ ovunque tarlata da tanti problemi. Secondo me, un libro per i bambini deve essere uno strumento capace di unire due universi: avvicinare il mondo degli adulti al mondo dell’infanzia.
Lei ha studiato storia dell’arte, mondo che, in Eppure osarono (Francesco Brioschi Editore, 2021), entra nella sua scrittura: le due protagoniste viaggiano per diventare modelle di pittori. L’arte figurativa è spesso fonte di ispirazione?
La storia dell’arte entra spesso nei miei racconti. L’arte, in generale, mi ha insegnato a comprendere che in ogni rappresentazione c’è sempre qualcosa di simbolico, per esempio, sentimenti che non verrebbero altrimenti narrati. L’arte è stata anche un mezzo per riflettere sul vissuto delle donne perché, per secoli, si è parlato solo al maschile anche in questo ambito.
Alcuni suoi romanzi, come Antonia (Gabriele Capelli Editore, 2010), sono narrati in prima persona, altri, come Magnifica (Sellerio, 2016), in terza. Data la forte interiorità trasmessa in entrambi i casi, cosa influenza questa scelta?
Mi calo totalmente nel racconto: in quel momento io sono Ada Maria, Ciarli o Antonia. Quella tra prima e terza persona, è una scelta legata alla storia che voglio scrivere, alla relazione con i personaggi, allora capisco che una storia è favorita da una narrazione in terza persona, e un’altra può essere più giusta se raccontata in prima. Dipende anche tanto dai personaggi: quanto compaiono, come si muovono, come interagiscono.
Spesso i protagonisti dei suoi romanzi sono donne, come è stato immedesimarsi in un uomo per Il tempo di Andrea (Sellerio, 2018) e per Antonia (Gabriele Capelli Editore, 2010) con Ciarli?
Non posso negare di essere schierata con le donne, penso che sia necessario raccontare i disagi femminili, passati e presenti. Questo non vuol dire che nutra una rabbia nei confronti dell’universo maschile. Sono vicina, invece, ai loro problemi. Nel caso di Ciarli e Andrea, ho voluto presentare uomini capaci di parlare delle loro difficoltà, delle loro debolezze, e di piangere, di raccontare l’amore dal loro punto di vista, di esprimere il loro senso di inadeguatezza.
Spesso nei suoi romanzi i personaggi abbandonano il loro luogo di origine, ma rimane sempre la nostalgia del posto lasciato. Che ruolo ha la memoria?
Lo sradicamento fa parte del vissuto di tantissime generazioni del passato. Tuttavia, non è un tema esaurito, ma estremamente contemporaneo. Oggi, gli sradicamenti coinvolgono masse di persone che intraprendono viaggi non privi di dolore, di mistero. Lo spostamento implica anche la memoria, alcuni miei personaggi vivono di nostalgia. La memoria, però, non deve essere rimpianto, ma privilegio: permette di vedere quello che è alle spalle e di proiettarsi in avanti.
Nel suo ultimo romanzo Cinquanta lune (Castelvecchi Editore, 2024), la protagonista Gi esprime il desiderio di diventare madre: come si declina l’idea di maternità?
All’interno di questo romanzo, ho voluto creare un coro di tante donne, voci diverse, tutte in grado di raccontare e illuminare la maternità. Ho voluto, però, includere anche i padri, parlando del loro ruolo genitoriale, tentando di avvicinare questi due emisferi, considerati spesso distanti. Mi auguro, inoltre, che questo libro aiuti a ridurre i pregiudizi nei confronti delle donne single che decidono di essere madri attraverso l’inseminazione artificiale, come Gi.
