DI MATTIA DARNI
Il panorama letterario ticinese è in lutto per la scomparsa di uno dei suoi più importanti esponenti contemporanei; sabato 3 dicembre, all’età di 88 anni, se ne è infatti andato Giovanni Orelli.
Giovanni Orelli nasce il 30 ottobre 1928 a Bedretto da una famiglia contadina, quinto di otto figli. Sin da piccolo, mostra un grande desiderio di leggere e una buona memoria, è inoltre interessato alla geografia e alla storia. Essendo il più gracile di tutta la famiglia e viste le ottime attitudini allo studio, i suoi genitori decidono che sarebbe diventato insegnante. Come consuetudine nelle case dei contadini, anche nella sua non ci sono libri, perciò, quando il padre gli regala Retour de l’URSS di André Gide, egli ne inizia la lettura vorace che prosegue poi con le altre opere di Gide. Mai sazio, comincia a ordinare opere alla Biblioteca Cantonale. Nasce così la grande passione per la lettura, la letteratura e i libri, amore che lo porta ad affermare che il libro è il suo migliore amico. Tale legame diventa marca del suo parlato, caratterizzato da un livello molto sostenuto e da molte citazioni dotte. Sulla scia della sua vocazione letteraria, studia dapprima all’Università di Zurigo, poi alla Cattolica di Milano dove si laurea con una tesi in filologia medievale e umanistica. Oltre all’importante rapporto con la letteratura, altro legame molto forte nella sua vita è quello con le proprie origini contadine poiché, secondo lui, in seno alla civiltà rurale si trova il trionfo dell’interesse paratico sulle molte parole inutilmente spese. Il leventinese non vive la guerra, ma afferma che probabilmente ha provato delle sensazioni paragonabili a quelle delle persone che si nascondevano dai bombardamenti quando, certe notti, da ragazzo, andava a dormire nelle case più sicure del suo paese perché c’era il rischio che dalla montagna si staccasse una slavina che inghiottisse il villaggio. E la valanga, quella del 1951, sarà un evento che segnerà il suo destino. Essa, difatti, lo spingerà ad abbandonare il suo paese per andare a vivere in città, a Lugano.
Non sarà però questo l’unico segno che l’evento lascerà nella sua vita. Nel 1965, in effetti, egli decide di dedicare un libro, L’anno della valanga, ai tragici fatti che colpirono la Leventina nel 1951. L’opera, pubblicata da Mondadori, avrà subito grande successo e otterrà il riconoscimento di Vittorio Sereni, autorevole figura della letteratura italiana. Orelli è diventato a tutti gli effetti uno scrittore. Seguiranno molte altre opere, in prosa e in poesia, pubblicate sempre da prestigiose case editrici, che gli varranno diversi premi come il Veillon, il Keller e lo Schiller per l’insieme della sua produzione letteraria.
Attivo su più campi, egli si dedica anche alla politica. Essa segna in lui una «rivoluzione copernicana»: proveniente da una famiglia conservatrice, infatti, egli decide di abbracciare, in un primo momento, la causa del Partito Socialista Autonomo e, poi, in un secondo, quella del Partito Socialista. Tra il 1995 e il 1999 siede in Gran Consiglio; l’incarico, tuttavia, non gli piace poiché pensa che, invece di concentrarsi concretamente sui problemi, si spendano troppe parole inutili. La sua uscita da questo universo segna la fine, in Ticino, del periodo in cui gli intellettuali venivano ascoltati anche per quello che concerne l’amministrazione della cosa pubblica.
Giovanni Orelli, ad ogni modo, fu soprattutto docente. Fino all’età della pensione insegna al Liceo Cantonale di Lugano 1. Grazie a questa attività, egli influenza importanti letterati contemporanei come Fabio Pusterla e Paolo di Stefano ai quali insegna l’importanza di una scrittura continua e assidua e la capacità di comunicare. Gli studenti lo ricordano come personaggio di grande carisma e unico professore che si rivolgeva loro utilizzando il “lei”. Egli, inoltre, trasmette loro l’amore per la lettura e i libri.
Matteo Pedroni, esperto di letteratura ticinese all’Università di Losanna, sottolinea come, con la morte dello scrittore, «la letteratura italiana e ticinese perda una delle sue voci più originali nonché un lettore d’eccezione, che con la sua curiosità, si muoveva agilmente tra Meridiani e paralleli della cultura (così s’intitolava la sua rubrica settimanale su “Azione”), riscuotendo il successo anche presso i giovani. Nonostante la sua scomparsa, però, resterà per sempre un’opera che nel suo particolare radicamento elvetico ha trovato la via per emanciparsi dal regionalismo e per farsi apprezzare a nord delle Alpi e in Italia».