di Charlotte Tron
Di fronte al grande palazzo delle esposizioni di Beaulieu, si nasconde, dietro a una piccola corte, uno dei gioielli culturali della capitale vodese: La Collection de l’Art Brut.
Il museo, inaugurato nel 1976 da Jean Dubuffet, si estende su quattro piani e mantiene la convinzione del suo fondatore che l’arte non è un’esclusiva della classe intellettuale e colta bensì un richiamo primitivo e universale della natura umana a creare e a rappresentare la vita.
La citazione di Jean Debuffet sulla vetrata che introduce al museo predispone da subito il visitatore alla riflessione e lo lascia poi commosso alla fine della visita : L’art ne vient pas coucher les lits qu’on a fait pour lui; il se sauve aussitôt qu’on prononce son nom: ce qu’il aime c’est l’incognito. Ses meilleurs moments sont quand il oublie comment il s’appelle.
La Collection de l’Art Brut è un museo di grande sensibilità artistica e umana, un luogo dove emergono le figure di uomini straordinari che hanno saputo trovare una via di fuga dalla sofferenza e dall’isolamento della malattia. Le sale espositive riportano, accanto a ogni lavoro, un sunto della vita e delle passioni dell’artista che l’ha creato, una sorta di epitaffio commemorativo sull’impronta
dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Visitando le sale si istaura così un dialogo poetico con le opere, i video e le descrizioni di vite che hanno avuto un destino difficile ma hanno saputo dare un grande contributo a quello che si definisce spirito umano.
Dal 13 di novembre 2015 fino al 17 di aprile 2016, la Collection de l’Art Brut presenta la seconda edizione della biennale con il titolo Architectures. Dopo il successo della prima edizione nel 2014 con il tema dinamico Véhicules, l’attuale biennale offre una gamma di opere molto vasta e ben articolata. La mostra occupa due dei quattro piani del museo: al piano terra, partendo da destra si possono ammirare artisti che hanno rappresentato nelle loro opere vari monumenti, come la Tour Eiffel di Emile Ratier (costruita con assi di legno e decorata con animaletti intagliati), oppure i disegni di Gregory L. Blackstock (un inventario ossessivo di ogni tipo di capanna, di palazzo, di costruzione presente al mondo). Tutta una parte del piano terra, chiamata Espace Noir, è dedicata alla rappresentazione della realtà attraverso molteplici sguardi, molteplici idee straordinarie espresse su carta, come ad esempio i disegni coloratissimi e di grande precisione tecnica dell’artista Diego, nato a Losanna nel 1963, affetto da disturbi cognitivi a seguito di un arresto cardiaco subito dopo la nascita. Diego rappresenta la natura svizzera ed afferma in un’intervista televisiva di essere da sempre attratto dalla bellezza degli chalets: -“Tutti uguali ma ognuno unico”- come egli li ama definire. Diego sovrappone, ai colori tenui della natura, colori forti e decisi, conferendo una visone insolita in contrasto con il consueto paesaggio elvetico dolce e serafico.
Una seconda parte del piano terra, chiamata Salle Blanche, presenta l’altra visione sul tema dell’architettura da parte degli artisti de l’Art Brut; si trova in queste sale la rappresentazione di un mondo visionario, intimo e talvolta popolato da spiriti o da voci lontane di creature magiche. Questa seconda parte della biennale è introdotta da una saletta nell’Espace Noir intitolata Mondes imaginaires. Questo ponte tra i due spazi espositivi offre al visitatore un perfetto passaggio dalla riproduzione della realtà esteriore al desiderio di una fusione tra universo concreto e ideale fantastico.
Il secondo piano propone solo una sala in tema con la biennale; qui sono esposte interviste filmate ad artisti de l’Art Brut e documentari di opere troppo monumentali per poter essere trasportate a Losanna. Un esempio straordinario è offerto dal cortometraggio sull’opera del postino Joseph Ferdinand Cheval. Cheval, detto anche le Facteur Cheval, nacque nella Drôme nel 1836. Egli fu architetto e costruttore di un magnifico piccolo palazzo in pietra che riporta incisioni e sculture di animali e personaggi onirici. Cheval costruì il suo Palais idéal per oltre trent’anni ed è stato considerato da André Breton come un precursore dell’architettura surrealista. Come molti altri artisti de l’Art Brut, Cheval non aveva conoscenze artistiche né tantomeno una padronanza tecnica sostenuta da uno studio accademico.
Riguardo alle personalità artistiche ed enigmatiche come quella di Cheval sono state fatte numerose riflessioni; un dato di fatto evidente è che le menti di questi uomini sentivano una forza creativa, un forte impulso a produrre opere straordinarie e a dedicare la loro intera esistenza a soddisfare un personale ideale d’espressione.
La biennale Architectures espone tante immagini della realtà tramite i sogni o le paure di artisti esclusi dal sentire comune della società.
Nelle opere di questi artisti si ritrova l’ingrediente primario dell’arte della costruzione, ossia la fantasia: il desiderio imperioso di superare le forme convenzionali della realtà, la manifestazione in linea e forma dell’ordine, o del disordine, che ci controlla.