di Natalia Proserpi
Alberto Nessi, importante scrittore ticinese, è nato a Mendrisio nel 1940. Dopo aver frequentato la Scuola Magistrale di Locarno e l’Università di Friborgo è diventato docente di Letteratura italiana, insegnando in varie scuole del Canton Ticino. Ha iniziato a scrivere poesie sin dalla giovinezza – dopo un esordio narrativo -, pubblicando nel 1969 la sua prima raccolta, I giorni feriali (seguita da Ai margini, Rasoterra, Il colore della malva, Blu cobalto con cenere, Iris Viola, Ode di gennaio e Ladro di minuzie – Poesie scelte). Nel frattempo ha portato avanti la sua carriera anche come prosatore; nel 1984 è uscita la sua prima raccolta di racconti, Terra matta, alla quale si sono succeduti i romanzi e le raccolte Tutti discendono, Fiori d’ombra, La Lirica, La prossima settimana, forse e Miló (l’ultima raccolta, pubblicata nel 2014). La sua scrittura creativa è stata inoltre affiancata negli anni da numerosi scritti di saggistica.
Il 18 febbraio 2016 gli è stato conferito il Gran premio svizzero di letteratura alla carriera.
Nei suoi racconti è spesso presente la Resistenza. Sotto i personaggi si nascondono storie reali, attinte dalla documentazione storica?
Il racconto è sempre un’invenzione, ma, quando è a sfondo storico, mi documento con molta diligenza. Dunque, potrei dire che invento dal vero. Per documentarmi sulla Resistenza sono stato ad Aosta, all’Istituto storico della Resistenza e della storia contemporanea in Valle d’Aosta, ho letto diversi libri e ho anche parlato con un ex partigiano e con sua moglie.
Vari racconti, romanzi e poesie hanno come protagonisti persone comuni, umili, spesso immerse in condizioni difficili, che sembrano nascere da una profonda osservazione. Le è capitato – o le accade solitamente – di ispirarsi a persone che ha incontrato, magari rappresentative dei ceti sociali che intende difendere?
Dietro i miei personaggi c’è l’empatia che mi lega a loro. Io vengo dal ceto popolare e sto dalla parte degli umili. Osservare i particolari – ciò che tento di fare – è importante per uno scrittore che ha a cuore la forma, lo stile. Dio è nei dettagli, ha detto Flaubert.
Quale importanza ha la tematica della libertà nei suoi racconti, e in particolare nella raccolta Miló?
Libertà è una parola fondamentale per la letteratura. Certo, è una libertà apparente e condizionata, perché tutti siamo figli di qualcuno e la letteratura è fatta di influssi, di rimandi: la poesia non nasce su un terreno vergine. Ma vergine e libero dev’essere il nostro sguardo, quando si posa sulle cose e sulle persone: come se le vedesse per la prima volta. Nella raccolta Miló, poi, la parola libertà assume un valore più direttamente politico, in certi racconti.
Nei suoi racconti e nelle sue poesie la natura ha un rilievo particolare, e sembra spesso emergere attraverso ricordi nostalgici. Quale ruolo assume nella sua scrittura?
Più che la nostalgia, nella mia penna passa l’indignazione per le offese che l’uomo infligge alla natura: l’altro giorno i fitoassassini hanno assassinato dieci magnifici platani in buona salute a Chiasso: non è un’offesa ?
La poesia Passeggiando esprime in modo sensibile la distruzione che sta subendo la natura. Affrontare questo argomento è per lei di un modo di agire e di denunciare?
La letteratura può agire con l’arma delle parole: purtroppo è un’arma spuntata, perché gli uomini che contano, i potenti, gli intrallazzatori non leggono poesie e non hanno occhi per la natura, hanno occhi solo per i soldi.
Quale senso assumono nei suoi racconti e nelle sue poesie la realtà ticinese, e del Mendrisiotto in particolare?
Questi luoghi sono parte della mia vita e dunque entrano in modo naturale nelle mie pagine. Ma ho scritto anche racconti e poesie ambientati altrove: il romanzo La prossima settimana, forse è ambientato in parte nella Svizzera francese e in gran parte a Lisbona. I racconti di Miló sono ambientati, per la metà, fuori dal Ticino.
Nei suoi racconti e romanzi è ricorrente la presenza della religione, la quale, più che come rito ufficiale, si affaccia come credenza popolare. Quale ruolo ha per lei?
Ha scritto Carlo Marx che la religione è il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di situazioni in cui lo spirito è assente, l’oppio dei popoli (basta pensare agli orrori che avvengono oggi in nome di Dio). Ma ha scritto anche, Carlo Marx, che la religione è il sospiro della creatura oppressa. Io tendo l’orecchio a questo sospiro. Un’immagine sacra venerata dai fedeli porta con sé i pensieri e i dolori di tutte le donne e gli uomini che l’hanno contemplata e che forse vi hanno trovato consolazione. Una credenza popolare è impregnata di immaginazione, di candore.
Che cosa ha rappresentato per lei il coronamento artistico che l’ha vista insignita del Gran premio svizzero di letteratura?
Rappresenta un riconoscimento che mi incoraggia a continuare a scrivere.
Natalia Proserpi