Si è chiusa un’altra stagione accademica dell’Osservatorio Europeo di Giornalismo (EJO), network di ricerca fondato undici anni fa all’Università della Svizzera italiana. A spiegarci in che cosa consiste l’Osservatorio, il co-fondatore Marcello Foa che ci racconta com’è nato il progetto e come si lavora al suo interno.
«L’EJO è un centro di studi e di osservazione del mondo mediatico che si propone da un lato di creare un ponte tra il mondo accademico, che si occupa di giornalismo e di media, ed il mondo giornalistico; dall’altro di porre le diverse culture giornalistiche a confronto, creando elementi di discussione, di aggiornamento, d’informazione, in modo da far cadere quelle barriere nazionali spesso insormontabili. Grazie a tutto ciò, i giornalisti possono approfittare dell’esperienza e della visione diversa degli accademici che, dal canto loro, sono in grado di avvalersi di informazioni pratiche che spesso sfuggono alle loro ricerche».
Com’è nato questo progetto?
«Era il 2004. All’epoca lavoravo per Il Giornale e conoscevo l’allora presidente dell’Università della Svizzera italiana (USI), Marco Baggiolini, con il quale condivisi il mio desiderio di creare un osservatorio sul mondo giornalistico. La stessa idea la ebbe, quasi in contemporanea, Stephan Russ-Mohl, professore tedesco appena arrivato in Ticino, che ne aveva anch’egli parlato con Baggiolini. Il quale, a quel punto, ci fece incontrare. Da quel momento siamo diventati grandi amici e dopo un anno e qualche mese abbiamo co-fondato l’EJO. L’Osservatorio ha avuto un eccellente sviluppo: oggi è considerato uno degli istituti sul mondo dei media più autorevole e più reputato a livello europeo».
Come lavora concretamente l’EJO?
«Abbiamo un sito internet, che è quello che ci dà visibilità. Inoltre, abbiamo contatti regolari con altri siti d’informazione e di studio. L’idea è che, quando noi abbiamo qualcosa d’interessante che pensiamo possa essere utile anche per altri siti, lo traduciamo in inglese e lo mettiamo a disposizione degli altri. Nello stesso modo lavorano i nostri partner».
Si tratta in pratica di una sorta di “agenzia di notizie”, ma a livello accademico?
«In realtà si tratta di un Forum, dove si pubblicano articoli interessanti sul mondo dei media; oltre a questo abbiamo attività di ricerca, workshop e convegni che facciamo regolarmente. Tra i personaggi autorevoli che hanno partecipato ai nostri convegni, Ferruccio De Bortoli, l’ex direttore del Financial Times Andrew Gowers; ma anche Milena Gabanelli, Giuseppe Severgnini, Oliviero Toscani, Piero Ostellino, Ezio Mauro e Gad Lerner…».
Con chi collabora l’EJO per la pubblicazione degli articoli?
«L’Osservatorio ha diverse collaborazioni, come quella con il britannico Rogers Institute, con l’Erich-Brost Institut dell’Università di Dortmund e con il Medienhaus Wien. Pubblichiamo inoltre sul Corriere del Ticino, regolarmente anche sulla Neue Zürcher Zeitung e su altre riviste specializzate in Svizzera interna. In Italia, invece, collaboriamo con Prima comunicazione e con Problemi dell’informazione».
In che modo funziona il rapporto con i partner al di fuori della Svizzera?
«A Lugano c’è il cuore dell’EJO al quale i nostri partner e i nostri collaboratori, se reputano che un argomento da loro trattato merita di essere portato all’attenzione generale, lo sottopongono dopo averlo tradotto in inglese. A quel punto noi lo ripubblichiamo sia in questa lingua che in italiano. La stessa cosa accade per quanto riguarda gli altri idiomi. Una cosa importante: tutti i partner dell’EJO operano in modo indipendente nella rispettiva area linguistica. Ognuno di loro decide cosa è rilevante per la propria audience, quali articoli tradurre in inglese e pubblicare sul sito e quali articoli, invece, devono essere tradotti dall’inglese – il vero “hub” del nostro progetto – nella lingua locale».
L’EJO pubblica lavori in molte lingue dei paesi dell’est, ma non in francese e in spagnolo: per quale motivo?
«In effetti, è un’anomalia dovuta soprattutto al fatto di aver vinto un’importante borsa di studio per il progetto SCOPES della Confederazione elvetica, volto a promuovere il giornalismo di qualità nei Paesi dell’est europeo. Prossimamente, forti dell’esperienza accumulata in questo primo decennio di attività, ci allargheremo anche a sud, aprendo a breve un osservatorio al mondo arabo. Visto quel che accade nel Medioriente e in considerazione dei problemi sempre maggiori sul fronte dell’immigrazione, siamo riusciti a trovare i finanziamenti che ci permetteranno di fare questo passo. Parallelamente, la nostra aspirazione è di aprire anche un sito in francese o in spagnolo. Per farlo, però, abbiamo bisogno di reperire dei fondi, ma anche di trovare un partner affidabile, che se ne occupi e che abbia i radar giusti».
Qual è la vostra ambizione?
«Noi non cerchiamo le decine di migliaia di visite al giorno. La nostra ambizione è quella, nell’ambito della comunicazione dei media, del giornalismo mediatico e della ricerca su di essi, di essere riconosciuti come un’istituzione autorevole. E questo risultato lo abbiamo raggiunto».