di ALESSANDRA SPADA
Ho incontrato Valeria Cagnina in un luminoso lunedì d’autunno, nella sua piccola scuola in campagna vicino ad Alessandria, da cui, forte del suo incredibile percorso, lancia un potente messaggio alle ragazze di ogni età: niente è impossibile.
Ha da poco compiuto diciotto anni, è nata nel gennaio 2001, ma è già abituata alle interviste.
Ci sediamo per terra, senza scarpe, su un tappetone, mi dice che per lei è normale e spesso nei suoi workshop lo fa fare anche ai manager delle aziende. Intorno a noi sugli scaffali scatole trasparenti piene di mille cose, mattoncini di plastica, fogli di carta colorata, pennarelli, gomitoli, elastici, oggetti magici che poi scopro essere penne 3D, piccoli robot completi o in costruzione. Alla parete un grande schermo, uno specchio, lavagne e blocchi per scrivere.
Della sua storia so che ha costruito il suo primo robot a undici anni. Le chiedo di raccontarmi come abbia fatto, la risposta è semplice: “Ero molto curiosa, oltre che insistente. Ho rotto le scatole ai miei fino a che un weekend non mi hanno portata a Milano al Coderdojo …”
A quel punto la madre prevale sulla giornalista e la tempesto di domande per sapere come una bambina di Alessandria possa aver saputo che a Milano c’era un luogo in cui imparare a costruire robot.
La risposta è ovvia: internet. A quella prima domenica milanese ne sono seguite altre finché Valeria ha conosciuto Arduino, la piattaforma opensource sviluppata nel 2003 a Ivrea, che permette anche ai più inesperti di costruire dei robot. Ottenuto in regalo il suo primo kit di Arduino, dopo la scuola si è guardata tutti i tutorial in inglese. Esauriti i progetti guidati, ha deciso di progettare un robot. Ci vuole determinazione e passione per la ricerca, Valeria non voleva nulla di preconfezionato, ma partire da zero: doveva essere il suo robot. I pezzi naturalmente vanno trovati in rete e quelli che lei vuole si trovano in Inghilterra. Ma questa intraprendente ragazza non si scoraggia davanti agli ostacoli.
Nel 2014 è invitata a presentare il suo robot a “CodeIT in Rome 2014″, deve fare le notti per riuscire a terminarlo in tempo e suo padre dovrà andare fino a Gallarate per trovarle dei pezzi. Ma la presentazione sarà l’inizio di una serie di successi. A tredici anni Valeria è nominata, la più giovane, tra i primi cento Digital Champions d’Italia. A quattordici è speaker al TEDxMilanoWomen, al CNR di Pisa, al Senato della Repubblica e alla conferenza di apertura della Maker Fair Rome 2015. A quindici anni passa l’estate da sola a Boston…
Qui si impone un’altra pausa in cui l’intervistatrice preoccupata verifica l’esattezza delle informazioni, su come una quindicenne sia arrivata da sola negli USA: “Nel 2015 la mia famiglia che ama viaggiare – il blog di mia mamma contiene tutti i consigli per viaggi low cost in famiglia – ha organizzato una vacanza a Boston. Manco a dirlo mentre loro ci pensavano io prendevo contatti e appuntamenti, sognavo di visitare la città e soprattutto il mitico Massachusetts Institute of Technologies. Al mio primo arrivo avevo quindi già una fitta rete di incontri programmati.”
I primi incontri non le sono bastati, sembravano un antipasto. Ma i contatti erano stabiliti e Valeria si è organizzata per tornare l’estate successiva. Trovato un campo estivo su come costruire una start up, nel suo blog ha raccontato come ha fatto ad essere ammessa. Qualcuno dalla Duckietown del MIT ha letto il suo post e le ha proposto, dato che avrebbe trascorso l’estate a Boston, di diventare senior tester del laboratorio. Ovvero di semplificare i tutorial universitari, per renderli fattibili anche per i ragazzi delle superiori.
In due anni dalla costruzione del suo primo robot, Valeria Cagnina, quindicenne della provincia piemontese, aveva ricevuto una proposta di lavoro dalla prima università tecnologica del mondo.
Questa ragazza però è piena di sorprese. Dopo il MIT, gli inviti a partecipare a incontri e workshop in università e altre sedi prestigiose non si fanno attendere. Ma Valeria a Boston ha capito cosa vuole fare. Torna a casa e in un locale messo a disposizione dai suoi genitori nella loro azienda, fonda la sua scuola: vuole importare i metodi di insegnamento che ha visto a Boston, insegnare robotica a grandi e bambini.
C’è poi una questione non irrilevante da risolvere. La scuola – non quella da lei fondata, né quelle che ha visitato in giro per il mondo, ma la scuola pubblica italiana – è l’unica parte amara della storia. Alla domanda se ci sia stato un momento in cui ha sentito che essere una ragazza non fosse un vantaggio, la risposta è: “A scuola. Nel mio istituto a indirizzo informatico la maggioranza è maschile e i professori mi han detto esplicitamente che per una ragazza era difficile superare il 6/10”. Prima ancora aveva raccontato di come i suoi approfondimenti tecnologici per la tesina di terza media non fossero stati neanche considerati dalla commissione d’esame, che le aveva dato un voto deludente rispetto al suo impegno.
Quando le chiedo come ha fatto a conciliare la partecipazione a seminari in giro per il mondo con lo studio, mi riferisce, “all’inizio mia madre aveva ottenuto che le mie assenze fossero considerate nei crediti del programma scuola-lavoro. Poi però i dirigenti scolastici hanno cambiato idea, e dopo che avevo già ottenuto l’ammissione in ingegneria informatica al Politecnico di Milano, mi hanno comunicato che non avrei potuto partecipare alla maturità per troppe assenze. La farò quest’anno, da privatista.”
Nonostante ciò o forse proprio per questo, Valeria è ancora in Italia, e appena compiuti diciotto anni ha fondato la sua società, con un socio poco più grande di lei. Fanno corsi per bambini e adulti, laboratori e consulenze nelle aziende. Le chiedo se c’è qualcosa che vorrebbe dire a delle ragazze giovani e magari meno intraprendenti di lei: “Siate coraggiose e determinate, insistete, non vi scoraggiate davanti a una sconfitta. Se una cosa vi interessa fate ricerche, non abbiate vergogna di scrivere alle persone che se ne occupano, siate curiose. Niente è impossibile.”