Legàmi che diventano prigioni
Nel suo nuovo romanzo Kent Haruf racconta le famiglie disfunzionali: come i vincoli di sangue possano essere devastanti e, nonostante questo, difficili da spezzare

di LEA CONCONI

Arriva anche in Italia Vincoli, il libro genesi della trilogia sulla cittadina di Holt del caso editoriale Kent Haruf, con la traduzione di Fabio Cremonesi. In questo romanzo Haruf narra di quanto possano essere devastanti i legàmi famigliari e di come questo non basti per spezzarli, perché il senso di colpa sarebbe insopportabile.

Vincoli è la storia di Edith Goodnough (e molti altri). All’inizio della vicenda la donna si trova in un letto d’ospedale ed è accusata di omicidio. Un giornalista di un quotidiano di Denver è deciso a scoprire tutto l’accaduto ma, come ci dice il narratore, ancora indefinito, è impossibile capirlo davvero. Chiede quindi al reporter di raccontare la storia di Edith.

«Figlio di puttana» e poco di più sono le parole che Sanders Roscoe, il misterioso narratore, rivolge al cronista. Al concludersi del primo capitolo sappiamo di un’anziana all’ospedale, un giornalista bastardo e un contadino di Holt che non vuole tradire un’amica. Nulla di nuovo e nulla che il lettore possa capire. Ma questo deve solo tenere duro altri due minuti, giusto il tempo di girare la pagina e iniziare il secondo capitolo. Qui inizia il racconto della storia dei Goodnough e dei Roscoe, dei campi secchi del Colorado, dei moncherini di Roy Goodnough, dei viaggi del fratello Lyman, reali e poi immaginari, di proposte di matrimonio rifiutate. Una di quelle storie di sangue e di sudore che paiono poter prendere una forma piena e verosimile solo se ambientate in nell’America profonda e violenta dei primi del Novecento.

Il tono secco e asciutto dell’autore ci racconta di Roy Goodnough, un padre despota e violento che non smetterà mai di esercitare la propria autorità sui figli. Ci racconta della giovinezza, quella vera, quella che hai a vent’anni. Attraverso le parole di Haruf, il lettore vive i destini dei Goodnough e dei Roscoe, che si intrecciano per la prima volta un’estate e delle loro tragiche storie destinate a convergere. L’autore ci racconta in queste pagine, con la sua scrittura semplice e pulita, di Edith e John che proprio in quell’estate si avvicinarono sempre di più l’uno all’altro, fino alla notte in cui si allontanano dai campi con la vecchia automobile del padre di lei, lasciando Lyman sul marciapiede, dicendogli di aspettare. Dopo quel fatto, dolcissimo nella descrizione del narratore, nulla potrà essere come prima.

Poi l’incidente: le mani di Roy Goodnough rimangono incastrate nella mietitrice e, nella descrizione grottescamente dettagliata, il lettore può già premonire la miseria che seguirà a questo fatto. Da quel momento Roy, al posto delle mani, avrà per sempre dei moncherini tumefatti. Edith non sposerà John. Edith non se ne andrà mai. Qualcosa però salverà almeno Lyman e sarà la guerra. Se ne andrà nel bel mezzo della notte e non tornerà per molto tempo.

Edith lo aspetterà sempre. Con le parole dolci e gentili del narratore il lettore può conoscere questa donna, personaggio esemplare, può leggere della sua attesa, delle sue delusioni, del suo essere devota ai suoi doveri di figlia e sorella. Edith si troverà accusata di omicidio, ma il suo, secondo Sanders, è stato un semplice atto d’amore. Ma certe cose, chi non ha vissuto a Holt e chi non ha mai visto i disgustosi moncherini di Roy Goodnough, non le può capire.

Vincoli narra una vicenda difficile da digerire: violenta, tragica, triste, disperata come d’altronde lo è Holt, come lo è stata la vita di Edith. Haruf guida il lettore attraverso il periodo più bello e più triste della vita dei protagonisti. E lo fa con personaggi così ben descritti che pare quasi di conoscerli alla perfezione, così come ogni angolo della campagna di Holt. 

Vincoli è una di quelle storie che appartengono a chiunque, perché racconta in modo spietato quel senso di colpa innato che ogni figlio proverà sempre verso i genitori. Perché nonostante la violenza e il sangue su cui si costruisce la storia di Edith Goodnough, alla fine di queste duecentocinquantacinque pagine resta nel cuore la dolcezza delle parole del narratore che si immagina la giovinezza del padre e il suo amore per la vicina, raccontando con la più pura sincerità che Edith a vent’anni «ti faceva venire voglia di averla accanto a te in macchina su una strada di campagna, di stringerla, abbracciarla, baciarla […], dirle tutte quelle cose che non avevi mai detto a nessuno».