«Non abbiamo tempo per avere fretta»: intervista a Marko Miladinovic
Per lo scrittore, organizzatore e conduttore del Ticino Poetry Slam, il ruolo del poeta è quello di ricreare il mondo e le sue definizioni

A sinistra Flavio Calaon e a destra Marko Miladinovic; Studio Foce; 2018 (foto di Salvatore Vitale)

DI CLAUDIO NEGRONI

Alla domanda «Quando preferirebbe fare l’intervista?» risponde «Non abbiamo tempo per avere fretta»; così si presenta Marko Miladinovic, poeta, artista, organizzatore e conduttore del Ticino Poetry Slam.

«Sono un poeta, dunque non sono niente, e non voglio essere niente. Mi occupo di poesia», si autodefinisce con queste parole. 

Chiedendogli chi sia il pubblico della sua poesia risponde: «Il pubblico è lo specchio dell’artista e ci vedo riflesso un imbecille, che sono io». «Come scrivevo se lettura è fiuto, lettore è fetore: non sei tu che vai in contro ai libri, ma sono loro che, attratti dal tuo “puzzo”, si avvicinano. E per quanto riguarda il poeta, «il suo ruolo è fare la sua parte; il riconoscimento arriva spontaneamente e sempre da artisti che si ritrovano nelle ricerche che conduce. Non mi pongo ruoli e modi». Ritiene infatti che «la poesia sia una formulazione magica, che sposti le montagne» e la definisce nell’idea platonica di un atto di creazione dal nulla. «Il linguaggio poetico è l’unico che non dà ordini», – aggiunge -, «ma consiste nella creazione e nella definizione delle parole, nella ridefinizione. Quindi il ruolo del poeta è quello di ricreare il mondo e ridefinirlo», aggiunge che «la poesia non cambia la società, ne rifà le definizioni e queste possono cambiarla.» 

Al contempo, Marko è anche l’organizzatore e il conduttore del Ticino Slam Poetry, o come lo definisce lui «avanspettacolo di poesia orale prestante con vincitore»; ma che cos’è il Poetry Slam? «È una gara giocosa tra poeti dove il pubblico decreta un vincitore», nella fattispecie, gli eventi da lui condotti si costruiscono su due turni per poeta, seguiti da un’esposizione di un ospite, per poi terminare con la finale. Il giudice è il pubblico: cinque giurati vengono scelti a sorte e, dopo ogni turno, rinnovati. Ovviamente si potrà contestare la mancanza di una giuria tecnica, ma, come giustamente Marko cita, il pittore Gino de Dominicis diceva che nell’arte «il giudizio di un bambino vale quello di un esperto». «Al vincitore spetta la vana gloria, oltre che passare al turno successivo nel campionato nazionale», specifica Marko. «A volte, metto in palio un kit di sopravvivenza etico-estetica, ovvero un astuccio in pelle contenente un pettine e una penna, di cui non si sa quale sia l’estetica e quale l’etica». Per quanto riguarda la storia, «il Poetry Slam nasce negli anni ’80 a Chicago con Marc Kelly Smith, che voleva rinnovare l’ambiente poetico includendo il pubblico. Poi si è diffuso nel mondo; in Italia è arrivata una prima ondata negli anni 2000, che con il tempo si è un po’ spenta, fino al 2013, anno in cui è stata fondata la LIPS, la Lega Italiana Poetry Slam. Essa riunisce i collettivi che, da allora, organizzano eventi di Poetry Slam in ogni regione d’Italia, Ticino Poetry Slam compreso. Si sono così creati un torneo transnazionale, uno europeo e uno mondiale».

Qual è l’importanza della musicalità delle parole e la gestualità nella genesi di una poesia? Marko risponde a partire dalla sua esperienza personale: «Ho vari metodi per creare le mie poesie, oltre ai classici del cut-up (tecnica che consiste nel tagliare da vari testi parole o frasi, incollandole assieme, creando un nuovo testo «ndr»). Spesso annoto versi e poi ritorno a ripensarli; questo processo è abbastanza lento. Molte volte, invece, vengono in un attimo, cadono proprio dal cielo, come un flusso. Mentre alcune poesie le ho scritte e riscritte, ma non chiuse. In questo caso, interviene la memoria, perché trattengo come buoni i versi che rimangono nella memoria e chiudo la poesia solo con quelli, eliminando gli altri». 

In seguito gli ho chiesto come vedesse i poeti ticinesi a confronto con quelli italiani e ha risposto che «i più lo fanno per passione e divertimento, nessuno da nessuna parte può ricavarci un salario da questo, forse. Nella perifericità del Ticino, c’è morfologicamente una debolezza, come del resto in tutti i campi artistici. E certo c’è un abisso con l’Italia, che è poi lo stesso che si osserva nella cultura umanistica; ma partendo proprio da queste “minorità” si possono, come ho fatto io d’altronde, formare nuove linee di fuga volte alla creazione poetica e di relazioni e alleanze internazionali».

A proposito di poeti ticinesi, ne ha consigliati alcuni: «Pietro Giovannoli, Lia Galli, Marco Jäggli, Franco Barbato, Shair Cruz Bahamonde, Tamara Vizzardi, Daniele Bernardi, Andrea Bianchetti, Rodolfo Cerè».

Da sinistra a destra: Paolo Gianinazzi, Franco Barbato, Anna Ri, Flavio Calaon, Paolo Agrati, Alessandro Burbank, Gianmarco Tricarico, Margherita Coldesina, Marko Miladinovic; Studio Foce; 2017 (foto di Maurizio Molgora)

Ha poi dato qualche consiglio per chi volesse iniziare: «Il Poetry Slam è uno spazio di libertà e di ascolto attivo, dove la poesia è per davvero al centro della questione. E può aiutare sicuramente la propria crescita personale: scoprire una fiducia nuova, che non si credeva di avere. Poi bisogna sempre confrontarsi con chi legge, a patto di trattare il proprio lettore come fosse più intelligente di noi che scriviamo. Altrimenti è una tragedia! E soprattutto bisogna scrivere tanto, leggere tanto e se si può parlarsi addosso, perché la parola va più veloce del pensiero e si possono scoprire cose interessanti liberando la voce. Ma soprattutto scrivetemi, così vi invito al prossimo Ticino Poetry Slam».

Il prossimo evento sarà per San Valentino allo Studio Foce di Lugano.

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