PIERRE CASÈ, QUANDO L’ARTISTA RIVIVE IL PASSATO IN OTTICA FUTURA
L'intervista

di Filippo Gabutti

 

Entrando nel suo atelier in Valle Maggia, l’artista mi accoglie con uno sguardo intenso, come se i suoi occhi guardassero alle cose passate; tuffandosi, ed io con lui, in un mondo lontano, malinconico, laddove le sue opere compiono i loro primi passi, per poi arrivare a dialogare con il circostante odierno.

Pittore ritenuto della corrente informale materico, Pierre Casè iniziò a creare arte negli anni ’60 nell’ambito figurativo; astraendosi sempre di più, giunse a risultati brillanti, unici nel loro genere che ricollegano un’esperienza esistenziale e storica che riguarda tutti noi. Ecco allora le parole del pittore-artigiano.

 

Una delle caratteristiche più appariscenti nei suoi quadri è certamente l’utilizzo dei colori. So che li crea lei, vestendo i panni di un artigiano della pittura. Questa scelta peculiare ha qualche simbologia?

Tutto iniziò quando ero bambino. A undici circa, conobbi, nella bottega da falegname dei miei zii, un’importante artista ticinese di Locarno: Bruno Nizzola, il quale sto rendendo omaggio in questi giorni in una mostra che ho organizzato per il museo Epper. Uomo d’immensa statura, vestiva pantaloni di fustagno, camice a quadrettoni, foulard al collo (tenuto assieme da un coperchio di una scatola di fiammiferi), zoccoli ai piedi, cappellaccio in testa e in bocca non mancava mai o la pipa o il toscano. Notando il mio interesse per il mondo artistico, m’insegnò così a produrre i vari colori, che ancora oggi compongo seguendo rigorosamente le sue ricette. Per fornire qualche esempio utilizzo la colla di glutine (patata) quando devo fare una tempera mentre per la pittura a olio adopero l’olio di lino cotto. Come base ci sono poi tutti i minerali, quali la terra, gli ossidi ricavati naturalmente, il nero fumo (ottenuto dalla lenta combustione di tralci di vite sotto campane di vetro). Questo particolare aspetto materiale, oltre ad offrirmi delle sfumature difficili da trovare in colori sintetici, mi permette di mantenere, a livello simbolico, un legame con la terra, dalla quale nascono tutti i miei temi.

 

Trattando allora di quest’ultimo aspetto, quali tematiche vuole trasmettere con le sue opere, ulteriormente all’elemento progenitore terra?

Alla base della mia pittura c’è sempre l’individuo o la natura, la quale è trasmessa sia dall’utilizzo del colore, sia nei materiali scelti. In realtà quello che si vede è ben difficilmente collegabile con la natura; gli elementi quali pietre, rocce, sezioni di terreno non sono individuabili a un primo impatto; chiedo anche una certa profondità nella visione delle mie opere.

Do molta importanza anche all’aspetto orografico della natura e al processo delle stagioni. Ho la fortuna di vivere in una valle che propone scenari sempre diversi, in base al luogo e alla stagione in cui ci si trova.

 

A fianco dei colori le sue opere m’impressionano per l’impiego di vari elementi atipici in pittura. Nei grandi quadri, come in quelli esposti a Venezia, si trovano corde, chiodi, pezzi di lamiera ecc. Come mai questa scelta particolare?

Sono sempre alla ricerca di vecchi materiali. La società oggi ha l’arroganza di gettare utensili ritenuti obsoleti. I chiodi di una volta, fatti dal fabbro, si differenziano da quelli odierni perché non ce n’è uno uguale all’altro. Io reputo questi oggetti delle testimonianze, e li inserisco nelle mie opere in omaggio a personaggi come il fabbro, appunto, o altri ancora.

Altri materiali sono: la lamiera (che si usava per circondare il pollaio) rovinata, cotta dal sole, levigata dalle intemperie; essa rappresenta un vissuto, un tempo ormai passato. Il catrame poiché anch’esso è ricordo d’infanzia. Nelle vecchie case (“i ca’ da füm”) le pareti erano coperte da grumi di catrame poiché non vi erano degli sfoghi per il camino, se non una piccola finestrella. Il filo spinato l’utilizzo come emblema di questa società che fa male, punge e separa.

 

Se si può parlare di un certo dualismo tra l’oggetto creato e i materiali per la creazione di tale oggetto, si può anche parlare di dualismo tra i temi espressi e una critica sociale?

Non critico mai espressamente; se lo faccio, avviene in maniera sottile, ma questo aspetto non ha mai l’esclusiva nelle mie opere.

Di recente ho trattato il tema del nero. Il bianco, come si sa, è insieme di tutti i colori, mentre il nero è assenza del colore. Nella nostra società, che viaggia sempre più alla deriva, non si vede quasi più il buio assoluto. Oggi si è arrivati alla tragica conseguenza di porre una lucina nella cameretta del figlio, presupponendo che abbia paura del buio. L’oscurità, al contrario di quello che molti pensano, è fatto per rigenerarci. Il nero poteva diventare colore; questo era l’obiettivo di uno dei mie lavori. Accostando vari materiali neri, l’opera riusciva a prendere vita e profondità grazie all’esposizione di quest’ultima sotto svariate fonti di luce: quella naturale, quella artificiale o ancora quella di una candela.

 

Nel 1999 ha avuto un’esperienza molto dura, come ha reagito ad essa, a livello artistico?

Si, il 1999 è stato un momento molto particolare della mia esperienza. Sono stato colpito da un ictus che mi ha leso la parte destra del cervello. È stato un periodo difficile della mia vita, perché la parte sinistra del mio corpo era inesistente. Dopo aver recuperato la motricità, tutto quello che producevo, dal bozzetto sulla carta alla grande opera, era testa (emisfero destro e sinistro).

Nel 2007, nella Chiesa di San Stae a Venezia (sul Canal Grande), ho presentato una mostra composta da 1040 opere riguardanti crani. È stato il mio modo per affrontare il problema e per esorcizzarlo.

 

Come abbiam visto in precedenza si lega alla tradizione (nell’utilizzo di materiali passati e così via); si configura anche al presente con la sua arte?

Ora sto lavorando sul tema del bestiario che sboccerà nella primavera del 2017 a Venezia (nei magazzini del sale). Un lavoro che mi ha preso quattro anni. Son partito da una considerazione abbastanza banale, quella di aver avuto la fortuna di vedere un mito svizzero per intero (la vacca con le corna). L’altro giorno ho sentito dell’iniziativa per rintrodurre le vacche con le corna, la quale prevede di dare dei premi agli allevatori che aderiranno. È un tema attuale, seppure il passato vive nella volontà personale di utilizzare bestie che, per la gente della valle erano vitali.

Le vacche vengono cauterizzate per un fattore di mercato. L’odierna società ruota intorno ai soldi e a nient’altro. Allora ho inserito in omaggio a queste bestie tanto utili per l’umo crani di pecore, maiali, capre, vacca, toro, asino, cavallo, cinghiale, cani e gatti (adeguatamente trattati con acido solforico e bolliti in acqua ossigenata per pulirne le impurità e renderli bianchi).

Un ulteriore tema attuale è la moria di api. Ho creato dunque, in omaggio a questi straordinari insetti, cento tavole fatte di cera d’api.

 

E per quanto riguarda il futuro?

A livello di produzione questo mio ultimo lavoro è si legato a una tematica contemporanea, ma guarda anche al futuro, cercando di aprire gli occhi alle persone; così, come del resto, tutte le mie altre produzioni. In un certo senso cerco sempre di legare insieme tra loro le tre temporalità.

 

Una domanda per terminare che non è espressamente legata alle sue opere, bensì alla sua esperienza personale: come mai ha percorso la strada da autodidatta?

Quando ho deciso di fare questa professione era il momento di frequentare un’Accademia. Mia madre mi disse che non era possibile a livello finanziario, così presi la strada da autodidatta. Essere autodidatta vuol dire arrestare la vita per impegnarti al 100% per studiare da te. Ho presto capito che bisognava fare un’altra professione (in parallelo), iniziando dal gelataio/marronaio, passando dal decoratore di vetrine, per giungere all’insegnamento (18 anni all’OCSIA). Quando ho capito che la scuola diventava sempre più burocratica, nonostante avessi raggiunto una carica considerevole, ho dato le dimissioni, intraprendendo la strada d’artista a tempo pieno.

Successivamente, su richiesta personale, ho diretto per undici anni (dall’89) la pinacoteca Casa Rusca di Locarno, proponendo mostre astratte, dall’arte informale a quella materica.

 

Opera presentata alla mostra di Venezia "I misteri del sotoportego"

Opera presentata alla mostra di Venezia
I misteri del sotoportego.