di CHIARA ANDREOLI
Tsewang Gurung è una donna cresciuta in una piccola regione himalayana del Nepal (Dolpo). Avendo provato le difficoltà di vivere in un’area così remota, ha lasciato la sua famiglia per andare a studiare in India. Dopo l’istruzione primaria, ha frequentato l’università e si è laureata in Medicina tradizionale tibetana, per poi tornare nel Dolpo. Dopo quattro anni, una famiglia svizzera ha sponsorizzato la sua formazione all’Università di Ginevra.
Come si agisce in caso di problemi alla salute nel Dolpo?
La medicina tradizionale era l’unica speranza. Sono orgogliosa di essere il primo medico tradizionale donna di tutta la regione del Dolpo.
Da bambina ho visto donne morire durante il parto e, in un anno, 15 bambini sono morti a causa della dissenteria. Anche se le persone volevano andare all’ospedale più vicino, ci volevano almeno sette giorni per raggiungerlo dopo aver superato passi di 5.000 metri di altezza.
Venticinque anni fa due turisti hanno deciso di sostenerci costruendo un ospedale e una scuola. L’ospedale è diventato la principale fonte di accesso all’assistenza sanitaria per il mio villaggio e per quelli vicini. Ha cambiato completamente le nostre vite.
Com’è lasciare la propria famiglia all’età di sei anni?
Ho avuto una madre single che ha cresciuto me e mia sorella nel miglior modo possibile. Vivevamo in una stanza singola dove lei dormiva e cucinava per noi. Io e mia sorella siamo le uniche sopravvissute tra gli 11 figli che ha dato alla luce.
Quando avevo sei anni, un leader spirituale discusse con mia madre la possibilità di mandarmi in India per studiare in una scuola gratuita. Lasciare la famiglia così giovane non è stata una scelta, ma uno scherzo del destino che mi ha fatto sentire vuota e sconosciuta.
Lasciando il nostro villaggio, c’era un passo dove abbiamo dovuto fermarci per sette giorni a causa delle forti nevicate e abbiamo avuto paura di non riuscire a proseguire. Arrivati a Dunai, ho visto l’autobus per la prima volta ho provato paura. Dopo 24 ore di viaggio, abbiamo raggiunto Kathmandu. Ricordo che volevo solo tornare a casa.
Quando ti è stato proposto di venire in Svizzera?
Dopo aver lavorato per quattro anni all’ospedale nel Dolpo, io e alcuni miei amici abbiamo avuto il privilegio di incontrare dei generosi turisti che ci hanno invitati per un breve viaggio nel loro Paese, la Svizzera, nel 2020. È stata la mia prima visita in Europa.
Dopo essere tornati in Nepal e aver lavorato per un anno, i turisti hanno deciso di sponsorizzare uno di noi per proseguire gli studi in Svizzera e ho avuto la fortuna di essere scelta.
Come hai trovato il viaggio per venire in Svizzera?
È il miracolo più importante della mia vita. Non avrei mai immaginato una tale svolta. Il sostegno incessante che ho ricevuto dai miei sponsor, dall’assistenza finanziaria all’incoraggiamento emotivo, è stato notevole. Dalle fasi iniziali in Nepal alla mia attuale residenza in Svizzera, non ho mai sentito il peso delle sfide e delle difficoltà.
Quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato dal punto di vista culturale?
La differenza è la mentalità. Qui le persone sembrano essere più orientate alla carriera e appassionate del proprio futuro. Come estranea, ho notato che i legami umani possono sembrare un po’ superficiali. Inoltre, il ritmo veloce della vita fa sì che spesso le persone abbiano poco tempo da dedicare alle relazioni personali.
In Nepal le famiglie tendono a rimanere molto unite. Il legame è più profondo, forse perché si dipende gli uni dagli altri.
Cosa porterai a casa e cosa vorresti insegnare alla cultura occidentale?
Vorrei riportare a casa la maggiore consapevolezza sulla coscienza della salute. Nella mia cultura, la forte influenza delle credenze buddiste sulla prossima vita a volte si traduce in un minore interesse sulla salute nella vita attuale.
Forse vorrei insegnare che non esiste solo lavoro, carriera e futuro, bisogna prendersi del tempo per sé stessi e per la propria famiglia e celebrare la vita invece di correre costantemente in avanti.