Un tuffo nel passato con David Lynch
In attesa della serie tv "Wisteria" si può riscoprire "Cuore selvaggio": un cult girato esattamente trenta anni fa

LE CRITIQUEUR FOU: SAILOR & LULA (WILD AT HEART) de David LYNCH

di AURA GIANOLA

In attesa di Wisteria, la nuova serie tv che David Lynch ha finalmente confermato che sta realizzando per Netflix, e che non arriverà prima dell’anno prossimo, si può riscoprire un classico come Wild at heart, girato esattamente trenta anni fa. È la storia di una coppia, composta da Selly Ripley (Nicolas Cage) e Lula Fortune (Laura Dern), il cui stare insieme è impedito e sabotato da Marietta, madre di Lula. I due protagonisti decidono allora di scappare e intraprendono un (quasi horror) road trip perseguitati dai sicari assoldati da Marietta. L’ambientazione è arida e soffocante, un po’ per il caldo torrido, un po’ per la costante ed insostenibile suspense: tutto sembra sempre sull’orlo di esplodere.

Questo scoppio imminente, questo ‘’bruciare’’, più metaforico che altro, è motivo ricorrente del film: a partire dai titoli di testa infuocati per poi essere ripreso dai continui primi piani sulle sigarette fumate e dai flash-back dell’incendio, causa della morte del padre di Lula. Le fiamme che divampano si fondono perfettamente con l’enorme quantità di violenza che impregna la pellicola, una violenza quasi intollerabile poiché incarnata fino al midollo nei personaggi che si inseriscono nell’America marcia creata da Lynch.

Effettivamente, il regista costruisce quasi solo caratteri negativi in cui predomina o l’inutilità, come in Johnnie Farragut (Harry Dean Stanton), marito della mamma di Lula; o la crudeltà come in Marietta Fortune (magistralmente interpretata da Diane Ladd, che tra l’altro è la vera madre di Laura Dern) e nel perfido Bobby Peru (Willem Dafoe); o ancora il grottesco, come nel cugino Dell (Crispin Glover) e nell’inquietante Perdita Durango (Isabella Rossellini). Gli unici personaggi positivi sono i due protagonisti, ma anch’essi nascono nello stesso ambiente malato degli altri e sono perciò caricati da una considerevole dose di follia. Ciò che li differenzia da quello che li circonda è che il loro bruciare è spinto dall’amore e questo gli permette di non spegnersi e di continuare a combattere scatenandosi e sfogando la frustrazione in danze rock and roll sul ciglio dell’autostrada.

L’amore è il polo positivo del film e, anche se a livello visivo predomina la brutalità, è il vero motore della narrazione, lo scopo ultimo della coppia in opposizione alla vacua e perfida banalità del male che anima e spinge gli altri personaggi. Infatti, nonostante l’apparente cancro che sembra contaminare e far appassire il creato, il seme della speranza è comunque in potenza e si concretizza nella nascita di una nuova vita innocente, concepita in uno sporco e squallido motel.

Ad arricchire ulteriormente il film è l’idea geniale del regista che ha deciso di inserire una fitta serie di parallelismi con il Mago di Oz. Tuttavia, anche i riferimenti a Baum stridono per differenti motivi. In primo luogo, la modernizzazione di Dorthy porta via, come è naturale che sia, l’atmosfera fiabesca, infatti troviamo un’infantile Lula, comunque ragazzina smarrita e semi-innocente, eccitata dal repellente Bobby Peru. In secondo luogo, vi è un aumento esponenziale di antagonisti e una notevole riduzione di aiutanti: nessuno spaventapasseri, uomo di latta o leone a soccorrere la protagonista nel suo percorso, a meno che tutti e tre si siano incarnati nel suo folle partner. Tuttavia, anche lui, come lei, è vittima di un universo bugiardo (che sembra essere quasi personificazione dello stesso Oz). In terzo luogo, Lula non può sperare in un ritorno a casa poiché è proprio dal nido materno, malsano e venefico, dal quale vuole fuggire. Ciò nonostante, come scritto poc’anzi, malgrado questa apparente predominanza del male sul bene, sul finale la strega buona (Sheryl Lee, Laura Palmer in Twin Peaks la cui serie è stata girata in contemporanea a Cuore Selvaggio)  fa la sua comparsa e permette l’happy-ending che, anche se non in perfetto stile disneyiano, convince e commuove gli spettatori.

Insomma, uno dei film più lineari di Lynch è in realtà una fusione di contrasti e quando si finisce la visione si provano i medesimi sentimenti discordanti: non si sa se essere elettrizzati per aver conosciuto una delle coppie più belle e meno scontate mai viste sul grande schermo o se essere terrorizzati da un possibile incontro con Marietta intenta a spalmarsi il rossetto in viso. Quello di cui si è certi è che si ascolterà interrottamente Wicked game di Chris Isaak.