Il professore oltre lo schermo
Cosa significa insegnare a studenti smaterializzati? L'esperienza di Massimo Lolli, docente di latino e greco, durante il lockdown

Massimo Lolli

DI NOAH MARIONI

In questo difficile periodo si è tanto parlato dell’insegnamento telematico dal punto di vista degli allievi, ma molto meno dal punto di vista del docente. Abbiamo dunque raccolto la testimonianza di Massimo Lolli, filologo classico, professore di latino e greco al Liceo di Locarno.

Come sta vivendo personalmente questo momento?

Inizialmente non mi ero preoccupato granché, ma col tempo qualche momento di irrazionalità è subentrato. Avendo anche una famiglia e due figli adolescenti mi spaventa l’eventualità di lasciarli orfani. Quando si riflette, tuttavia, si capisce che non bisogna lasciarsi andare, bisogna essere d’esempio, e dunque, con tutte le precauzioni, cercare di vivere una quotidianità nel limite del possibile normale.

Il lockdown ha colpito anche il contesto scolastico; come ha vissuto i primi giorni di chiusura? Quali erano le sue impressioni?

All’inizio si è aperto uno scenario piuttosto confuso, le autorità non avevano predisposto determinati supporti, soprattutto informatici.

C’è stata parecchia confusione ma anche parecchia incapacità: il dover metter mano a delle piattaforme d’insegnamento a distanza non è come dirlo, non basta “schiacciare il bottoncino” e tutto funziona, occorre inserire dei dati, predisporre delle lezioni, capire con quale frequenza ci si può collegare.

C’era coscienza a livello di corpo insegnante della difficoltà anche dell’allievo?

A livello di corpo insegnante una coscienza collettiva si è palesata solo col senno di poi. L’esperienza personale è stata vivere una grande solitudine: non c’era nessun tipo di contatto fra docenti, e io l’avevo fatto presente alla direzione.

Qualche allievo lamentava il fatto di avere troppe sollecitazioni, oppure c’erano docenti che hanno fornito solo un percorso su Moodle senza rendersi conto che fosse necessaria una mediazione online per lo meno sentendo, se non vedendo, il professore. Oggi comunque credo che saremmo più pronti.

Come docenti eravate stati preparati a una possibile chiusura della scuola oppure siete stati costretti ad adattarvi al nuovo contesto in poco tempo?

È stato tutto molto improvvisato per il sottoscritto, ma anche per il liceo di Locarno. Abbiamo avuto due settimane di “bonus” per poterci organizzare. Dietro v’era comunque una determinata forma di controllo, so ad esempio di docenti che non hanno attivato determinati strumenti e sono stati richiamati all’ordine. In ogni caso, i sistemisti di sede, che non sono degli esperti informatici, si sono preparati e si preparano per risolvere problemi informatici e se interpellati rispondono. Tutto quello che poteva essere un aiuto esterno è stato dato, ma solo successivamente, per cui all’inizio molti avevano bisogno di sentirsi rincuorati e di capire come procedere, credo che questo dia la dimensione di quanto fossimo soli e mal accompagnati.

Uno dei grandi dubbi era sulla frequenza delle lezioni, ma il fatto di potersi per lo meno vedere ha rincuorato gli allievi: si sentivano vicini a delle scadenze e quindi incentivati al lavoro; d’altro canto so anche di molti ragazzi che si sono persi.

Fra docenti avvenivano delle riunioni nelle quali si facesse il punto della situazione?

Io più volte ho sollecitato il direttore per avere qualche riscontro, in qualche occasione aveva anche risposto, ma non c’è stato nessun momento dedicato per potersi confrontare e soprattutto capire come procedere. È stato lasciato tutto a una libera iniziativa, anche a rischio di una perdita di qualità dell’insegnamento.

Come si svolgevano le sue lezioni a distanza, come si interfacciava con gli allievi?

Grazie a Moodle devo dire che mi sono interfacciato molto bene con gli allievi mettendo il materiale in apposite cartelle. Utilizzavamo anche l’e-mail, per le varie scadenze, e spesso venivo anche preavvisato via WhatsApp attraverso delle chat che ci permettevano di capire se fossero tutti pronti, se ci fossero problemi. Ho dato disponibilità anche al contatto telefonico per qualsiasi difficoltà, quindi anche il momento di intervisione diventava ricco e denso.

I testi hanno molte sfumature, c’è stata la necessità di condividere note di correzione e ho privilegiato una modalità ad personam: davo un compito, ricorreggevo e rimandavo ad ognuno le mie osservazioni. Diventava una sorta di coaching, ma questo modo di lavorare personalmente è stato di una fatica enorme.

In presenza si sviluppano delle dinamiche che a remoto non possono avere la stessa valenza. La mimica non verbale ha un’importanza rilevante: lo sguardo, la postura, la tensione cognitiva, sono tutti fattori che contribuiscono alla riuscita o meno di un’ora-lezione. Nel mio piccolo ho cercato di mantenere il contatto visivo il più possibile e in qualche modo questo ha fatto sentire gli studenti partecipi e attivi.

Come hanno reagito gli allievi a questa nuova situazione didattica?

Immaginavo di imbattermi in grosse difficoltà e così non è stato. Questo dipende dal docente, ma anche dagli strumenti; io da alcuni anni uso edizioni curate da Ørberg per l’avvio della materia. Il metodo è concepito per l’autodidattica e mette l’allievo in condizione di studiare per conto proprio. Il confinamento ha consolidato in me la convinzione che i manuali che sto adottando possano essere vincenti, dando un’ottima base e offrendo la possibilità agli allievi di crescere autonomamente con l’intervento sporadico del docente. Se c’è un lavoro serio la crescita è tangibile e aumenta anche l’autostima dello studente che comincia a camminare con le proprie gambe.

Ho la fortuna di aver a che fare non per forza con dei cervelloni, ma con persone che hanno voglia di misurarsi, e sono pronte a investire del tempo. Gli allievi si sono confrontati anche di più fra di loro. L’alternativa era quella di un percorso in solitaria, cosa che non è avvenuta.

C’è stata anche una crescita individuale indotta dalla situazione, che ha dei risvolti negativi ma che permette di costruire qualcosa di positivo.

Lei è molto aperto anche all’utilizzo di supporti tecnologici, cosa che mi pare rara in materie come le sue.

Si associano spesso le mie materie a qualcosa di stantio e polveroso, ma in realtà credo che occorra essere coraggiosi nell’aprirsi alle novità. In generale penso che se fossimo in grado di dare agli allievi dei consigli ed essere anche noi stessi più formati sicuramente renderemmo un servizio utile a tutti. Di spazzatura ne esiste anche a livello cartaceo; è sempre stato così, i pericoli di meandri poco chiari c’erano anche prima di Internet: finendo in letture poco consigliate o non serie si possono fare delle brutte esperienze. Sono per un uso ragionato di tutto ciò che può portare ad una crescita. L’importante è che ci sia il rigore scientifico, anche nel piccolo.

Come vedrebbe un possibile ritorno ad una didattica a distanza? Auspici, paure?

La paura è quella di un’incapacità delle autorità di prendere in mano la situazione. Le informazioni sono sempre incomplete e giungono quando ormai è tutto chiuso e perciò dobbiamo reinventarci nel giro di poco tempo.

In conclusione vorrei dire che anche per me l’insegnamento in presenza è molto importante perché c’è una costruzione della personalità e dell’io-studente alla quale si può concorrere solo se si ha la persona di fronte. Tutti i docenti portano qualcosa di particolare, di specifico, una ricchezza che online rischia di perdersi. Non mi interessa troppo un insegnamento a distanza ma si cercherà di fare necessità virtù.