Diamo voce al terzo mondo
Intervista a Lara Ricci, giornalista del Sole 24 ore

di CATERINA BACCHILEGA

 

Lara Ricci, giornalista del Sole 24 Ore, dopo aver frequentato la scuola di giornalismo dell’ordine dei giornalisti della Lombardia, ha inizialmente lavorato alla Rai e alla CNN di Atlanta, per poi iniziare a scrivere articoli scientifici per il “Sole” a partire dal 2000. Nonostante la sua passione per l’arte, la poesia e la letteratura, ha intrapreso studi scientifici, laureandosi in Scienze ambientali nel 2006. Nella sua carriera ha vinto numerosi premi come il Laigueglia per l’informazione ambientale, il Voltolino e il premio nazionale di poesia Quasimodo.

 

Come lei stessa afferma, legge il Sole 24 Ore fin dai tempi del liceo, cosa l’ha portata, allora, a leggere questo tipo di giornale, forse inusuale per un pubblico giovanile? Quali emozioni ha poi provato iniziando a scrivere in prima persona per il Domenicale?

Ho sempre amato la letteratura e la scienza e il Domenicale trattava questi argomenti con grande serietà e, inoltre, il linguaggio utilizzato presentava una notevole ricchezza. L’aspetto principale che mi ha attirato di questo giornale era che riusciva a dare in poco spazio un grande contributo di conoscenza ed era sempre molto aggiornato sui fatti accaduti, e questa era la cosa che mi interessava di più.

Quando ho iniziato a lavorare al Domenicale ero felicissima. La cosa più bella è stata creare un rapporto di fiducia con i collaboratori, che poi sono la forza del Domenicale; il nostro lavoro sta nel trovare i collaboratori giusti.

Noi non forziamo mai la loro scrittura e lasciamo grandissima libertà di espressione. Il Domenicale propone, infatti, una scrittura molto varia e io credo che questa varietà di stili e di forme sia una ricchezza. Gli articoli devono essere comunque scritti bene ed essere comprensibili e devono avere un contenuto informativo o estetico. Al di là di questo io trovo sbagliato mettere delle regole in un giornale come questo: in un giornale di attualità. dove c’è un lettore che cerca determinate informazioni, ci sono delle regole e vanno rispettate, ma noi presumiamo che il nostro lettore voglia altro da noi e quindi lasciamo più libertà.

La cosa che personalmente mi dà più soddisfazione nel mio lavoro è quando riesco a fare una pagina ben fatta e quando riesco a stabilire un buon rapporto con i collaboratori.

 

In che modo i suoi studi e le sue passioni scientifiche l’hanno portata ad intraprendere una carriera giornalistica? E in che modo nel suo lavoro riesce conciliare entrambe le sue passioni, quella letteraria e quella scientifica?

Quando mi sono chiesta che lavoro volessi fare, ho pensato che quello di giornalista si adattasse al mio carattere e ai miei interessi e che quindi sarebbe stato un lavoro adatto a me. Ho molti interessi volti non tanto alla specializzazione quanto aperti ad una gran varietà di argomenti e il fatto di avere una scarsa memoria mi avrebbe impedito di fare un lavoro di ricerca serio, soprattutto in certi campi.

Una volta deciso cosa volessi fare, mi sono chiesta cosa mi piacesse.  La scienza e la letteratura. Ho fatto per due anni le due cose in contemporanea e poi mi sono chiesta quale tipo di studi mi avrebbe dato più conoscenza, da un lato sulle cose di cui mi sarei occupata professionalmente e dall’altro un contributo al mio modo di pensare che mi sarebbe potuto servire nel futuro.

Da un punto di vista professionale, quando io ho iniziato a lavorare, circa 20 anni fa, il giornalismo scientifico non era molto sviluppato e, allora, non c’erano giornalisti laureati in materie scientifiche, per cui ho pensato che se mi fossi laureata in materie scientifiche avrei avuto un vantaggio rispetto agli altri. Il vantaggio però lo hai se ti viene riconosciuto, cosa che per me all’inizio non è stata. Da un punto di vista scientifico, invece, ho scelto Scienze Ambientali perché tra le tante facoltà mi sembrava che prevedesse lo studio di tutte le materie scientifiche e che quindi mi avrebbe dato maggiore esperienza e conoscenza. Inoltre, questo tipo di studi mi avrebbe permesso di capire la scienza e soprattutto l’uomo, partendo dalle sue basi biologiche, argomento di cui sono particolarmente interessata.

Quando poi ho iniziato ad occuparmi di argomenti scientifici, ho notato che, parallelamente, hanno iniziato ad applicare agli studi neuro-scientifici l’utilizzo della risonanza magnetica e che attraverso studi riescono a vedere quali neuroni vengono attivati nel momento in cui compiamo determinate azioni o proviamo delle emozioni. Ho notato quindi che gli studi neuro-scientifici di questi anni si avvicinavano moltissimo alla letteratura perché stavano iniziando a darci informazioni ad esempio su che cos’è la percezione artistica, cosa sono le emozioni, l’empatia etc. E quindi questi due “mondi” si stanno molto avvicinando, seppure restino separati, perché il loro metodo di analisi è molto diverso. Per questo motivo vorrei continuare ad occuparmi sia di letteratura che di scienza perché sono convinta che i due settori si parlino e si integrino a vicenda e al di là della mia idea che i due ambiti non siano così separati, seppure utilizzino delle facoltà e dei mezzi differenti, ci sono sempre più letterati che si stanno interessando alla scienza e molti scienziati che si stanno interessando ad argomenti di ambito letterario e il linguaggio.

 

In ambito letterario, cosa l’ha spinta a dar voce ad opere ed autori ad esempio di origine lappone (Sami)? Quali aspetti, temi, di questa letteratura hanno suscitato maggiormente la sua attenzione?

Io mi occupo soprattutto di africani, ma è vero che ho una passione per i lapponi. Una mia caratteristica è che mi piacciono gli “estremi”, ed estremizzare una cosa permette, secondo me, di capirla meglio. I Sami in particolare mi interessano perché, ad esempio, vivono all’estremo della sopravvivenza. Mi interessano soprattutto tutte quelle culture che più assomigliano all’uomo com’era prima della “civilizzazione”. Tutti i popoli primitivi mi interessano, dal punto di vista antropologico, perché posso dire qualcosa di più sulla natura biologica dell’uomo, prima del loro sviluppo naturale nel tempo.

 

Quali aspetti letterari l’hanno portata ad interessarsi in particolar modo alla letteratura africana?

Io mi sono interessata soprattutto dell’Africa subsahariana, quella più povera e dove c’è di meno. Un aspetto interessante è sicuramente il loro modo di pensare, molto diverso dal nostro, con diversi valori di partenza. Mi affascina in particolar modo la loro cultura, basata sulla quotidianità, sulla condivisione, sulla collaborazione e non sulla competizione. Io trovo che ci siano degli elementi di saggezza in questo comportamento e trovo molto interessanti gli autori africani che studiano questi concetti. Un altro aspetto della cultura africana che mi ha sempre stupito è la profonda umanità e l’accoglienza che si dà al prossimo e che gli autori stessi sottolineano. Ci sono, inoltre, degli studi scientifici che mostrano come, quando le condizioni per la sopravvivenza sono più difficili, gli uomini diventano più empatici e più collaborativi che nel benessere.

Dal punto di vista letterario è interessante il fatto che essendo stata una cultura solo orale è largamente sconosciuta da noi e si sta perdendo, quindi il fascino sta anche nel recuperare quanto altrimenti andrebbe perduto. Per quanto riguarda i temi trattati, c’è di tutto. Scrittori di romanzi, di poesie, scrittori contemporanei o altri che raccontano in mondo com’era. C’è davvero un panorama molto vasto che racconta di culture e popolazioni diverse.

 

L’interesse per il terzo mondo l’ha portata a concentrarsi anche su altri aspetti non letterari? Nell’intervista: “Metti la chimica nel cervello” di Ivano Terzaghi nel 2016, nella risposta alla domanda “Sta lavorando a qualche progetto di divulgazione scientifica al momento? O quale altri campi vorrebbe approfondire in un futuro?” ha risposto che avrebbe avuto voglia di scrivere un libro sull’epidemia dell’Ebola, ma ha dovuto abbandonare il progetto, ha mai pensato di riprenderlo?  

No, è un progetto che ho lasciato per motivi familiari, ma che avrei voluto portare avanti e che meriterebbe di essere approfondito.

 

Ha mai pensato di applicare le sue conoscenze letterarie e scientifiche anche nel ramo dell’insegnamento scolastico/universitario oltre che in quello di ricerca?

No, non ci ho mai pensato, ma è una cosa in effetti l’anno prossimo succederà. Prima ero molto giovane e non mi sembrava di avere molto da insegnare e ancora adesso penso di avere molto da imparare. Ritengo, però che una serie di consigli e di informazioni appresi in questi anni di lavoro mi abbiano motivato e portato a questo.