di TESSA MORGANTINI
Helena Janeczek nasce a Monaco di Baviera nel 1964, in una famiglia ebreo-polacca, e si trasferisce in Italia nel 1983. Esordisce come scrittrice nel 1989, con un volume di poesie in tedesco, Ins Freie. Nel 1997 pubblica con Mondadori il suo primo romanzo in italiano, Lezioni di tenebra, nel quale affronta, partendo dalla propria vicenda autobiografica, il tema della trasmissione della memoria tabù della deportazione ad Auschwitz. Il romanzo vince il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Berto. Nel 2002 esce Cibo, libro che tratta del rapporto di uomini e donne con il proprio corpo, e nel 2010 viene pubblicato Le rondini di Montecassino, romanzo sulle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale su reduci e discendenti, che vince il Premio Napoli, il Premio Pisa e il Premio Sandro Onofri. Segue, nel 2012, il pamphlet Bloody Cow. La ragazza con la Leica è pubblicato da Guanda nel 2017. Il libro vince il premio Bagutta ed è tra i candidati del premio Strega 2018.
La protagonista de La ragazza con la Leica è una reale fotografa conosciuta come Gerda Taro (all’anagrafe Gerta Pohorylle), nata nel 1910 a Stoccarda, ebrea tedesca di famiglia borghese che, dopo l’ascesa al potere di Hitler, si trasferisce a Parigi. È qui che conosce il fotografo esule ungherese André Friedmann, in arte Robert Capa, che le insegna l’arte della fotografia e con il quale Gerda ha un’importante relazione. Nel 1937, Gerda è in Spagna a rendere conto della guerra civile con le sue fotografie quando, sul campo di battaglia di Brunete, viene travolta da un carrarmato e muore, a ventisette anni.
All’inizio del libro, la figura di Gerda viene introdotta tramite una fotografia, omaggiando così la giovane fotografa. Nello scatto, lei e Capa ridono di cuore. Eppure Gerda indossa il mono azul degli antifranchisti e, seduto accanto a lei, Capa tiene le dita strette attorno al proprio fucile. I due riassumono dunque in loro la gioia della passione per la lotta politica ma anche la sua crudele violenza, che ha segnato la vita dei due fotografi, entrambi, in momenti diversi, morti nel catturare la guerra con le loro pellicole.
Dopo l’iniziale prologo, la narrazione è divisa in tre parti principali, dove tre differenti narratori prendono la parola, ripensando a Gerda e all’impronta che la donna ha lasciato nelle loro vite. Il primo a parlare è Willy Chardack, un dottore di origini ebreo-tedesche trasferitosi in America e che era stato, nella sua giovinezza a Parigi, innamorato di Gerda. In una reale intervista del 1987, Georg Kuritzkes, un militante della cerchia di Gerda e Chardack, aveva affermato che Gerda “era chiaramente… la ragazza carina a cui, come al destino, non si poteva che correre dietro”. Helena Janeczek riesce efficacemente a ritrarre Gerda in questi termini: nel personaggio di Chardack è vivo il ricordo della bellezza pungente della ragazza, della sua vitalità e della sua attrattività, oltre che della sofferenza e della gelosia provata nei confronti di lei. Una simile prospettiva emerge anche in un altro dei tre narratori (il terzo, nell’ordine del romanzo): il già citato Georg Kuritzkes, ex-maquisard che ora vive a Roma, anche lui ex-amante di Gerda. Il punto di vista di Capa è assente, ma tutti i narratori evidenziano e si rassegnano di fronte alla forza dell’amore tra lui e Gerda, tratteggiando poi vividamente lo strazio del fotografo alla morte della compagna. L’unica narratrice femminile è Ruth Cerf, una vecchia amica e coinquilina di Gerda. Anche dalle parole di lei traspare, persino nelle occasionali critiche, la fascinazione nei confronti dell’amica.
Attraverso i ricordi dei tre, il personaggio di Gerda Taro prende quindi vita: una donna affascinante, coraggiosa, libera, temeraria e testarda. Il romanzo da una parte ritrae la memoria della fotografa, che anche da morta influenza il presente dei narratori. Dall’altra, il testo delinea sprazzi della storia del Novecento: la guerra, il nazismo, vicinanze minori o maggiori al partito comunista o al partito socialista tedesco, aspetti che, anch’essi, si espandono oltre la loro contingenza storica e hanno conseguenze nel presente dei narratori sia a livello pratico che psicologico.
Lo stile è frammentario, arricchito ogni tanto da parole nella lingua madre dei protagonisti, espressioni che contribuiscono all’immediatezza della narrazione. Il lettore si trova infatti immerso negli eventi della guerra e del dopoguerra, negli ambienti parigini o di Lipsia e in varie parti del mondo; la narrazione è costellata di riferimenti ad eventi storici, gruppi politici e personalità storiche e artistiche. Il racconto non segue un filo cronologico ma rincorre il flusso dei pensieri e delle sensazioni dei protagonisti, che conducono il lettore con loro nell’esplorazione del ricordo agrodolce di Gerda Taro.