«Sono le persone che devono scegliere il loro futuro, non la scuola»
Intervista al direttore del DECS Manuele Bertoli sull’importante riforma "La scuola che verrà"

di GIACOMO STANGA

 

Nel 2014, data del primo rapporto intermedio, ha mosso i primi passi sulla scena pubblica ticinese La scuola che verrà, una riforma radicale del sistema scolastico cantonale che, in questi anni, ha fatto parlare di sé, suscitando qua e là dubbi e polemiche di vario genere. Dopo un lungo periodo di studio appena conclusosi, questo autunno il progetto approderà nell’aula del Gran Consiglio per la richiesta del credito, e dovrebbe in seguito entrare nella sua fase di sperimentazione, con i primi cambiamenti che entrerebbero in vigore in alcune sedi sotto forma di progetto pilota.

Il direttore del DECS Manuele Bertoli

Il direttore del DECS Manuele Bertoli

Per l’occasione abbiamo posto a Manuele Bertoli, consigliere di Stato, responsabile del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport e principale fautore di questa riforma alcune domande su contenuto, ricezione e impatto de La scuola che verrà.

Innanzitutto la domanda più scontata ma, penso, indispensabile: a quale bisogno risponde questa riforma?

Il punto centrale consiste nel mettere in campo davvero quegli accorgimenti organizzativi che permettono alla nostra scuola dell’obbligo di seguire i ragazzi e le ragazze in base alle loro differenze, pur dentro un contesto unitario. Il mandato educativo della scuola pubblica rimane inalterato, come previsto dalle sue finalità riassunte all’art. 2 della Legge della Scuola del primo febbraio 1990 (articolo che stabilisce gli obiettivi del sistema scolastico. NdR), ma semmai ci si pone la sfida di renderlo effettivo, di tradurlo in pratica concreta. Il progetto propone nuove modalità didattiche e organizzative per raggiungere queste finalità già esistenti, senza aggiungere obiettivi ulteriori.

Molti si chiedono se sia davvero necessario rivoluzionare il nostro sistema scolastico, che non sembra avere particolari lacune.

Non si tratta di una rivoluzione, anche se alcuni (certamente non io e non chi vi ha lavorato in prima persona) hanno usato impropriamente questo termine. È certamente una riforma importante e che avrà un forte impatto, ma come diceva già il sottotitolo del primo rapporto del 2014, si tratta di una riforma «tra continuità e innovazione». Come già detto l’attuale mandato educativo non viene minimamente toccato dal progetto di riforma, mi pare quindi eccessivo parlare di rivoluzione.

Entrando nel merito del testo, quali sono i punti principali che verranno riformati?

Stiamo analizzando le risposte alla consultazione, che partono sostanzialmente tutte da un dato positivo, ovvero dal riconoscimento dell’opportunità di un intervento, ma che poi si dividono sulle modalità d’azione. Al momento il progetto prevede  principalmente, per riassumere in poche parole,  un’estensione alla scuola media dei laboratori (in più discipline e su più anni) dove gli allievi hanno la possibilità di lavorare a piccoli gruppi, l’introduzione di una nuova forma didattica chiamata «atelier», l’abbandono del sistema dei livelli nel secondo biennio di scuola media e la messa in griglia di alcune giornate/settimane progetto (approccio interdisciplinare). Per i docenti si prevedono maggiori spazi di collaborazione (con un riconoscimento orario per permetterlo). Inoltre verrà maggiormente stimolata la collaborazione anche nelle scuole comunali (ad esempio con i docenti di sostegno pedagogico e di appoggio). Sostanzialmente saranno necessarie più ore lavoro per i docenti a parità di allievi, e quindi un aumento dei costi ma anche della qualità dell’insegnamento.

In cosa consistono e come funzioneranno questi «atelier»?

In momenti di approfondimento basati più sulle esigenze degli allievi che sull’insegnamento di contenuti definiti. In sostanza, in vista dell’atelier il docente non è chiamato a preparare delle lezioni o delle attività, ma si mette a disposizione degli allievi e rivolge una particolare attenzione alle attitudini e ai bisogni dei singoli, lasciando spazio anche alle richieste formulate dagli allievi rispetto al loro percorso di apprendimento.

Leggendo il materiale informativo a disposizione sul sito del Cantone, si possono notare dei cambiamenti nei requisiti d’accesso alle scuole post-obbligatorie. Possiamo dire che La scuola che verrà influenzerà anche le scuole secondarie e, di conseguenza, l’approccio degli studenti ticinesi alla carriera universitaria?

Diciamo innanzitutto che gli allievi che escono dalla scuola media e vanno al liceo e poi all’università sono la minoranza, quindi che il sistema deve tenere conto di questa minoranza, ma anche della maggioranza. L’idea, piuttosto contestata, è di non più consegnare ad una media matematica la chiave d’accesso alle scuole medie superiori, ma di lavorare meglio e di più con allievi e famiglie, tramite valutazioni con note e descrizione scritta di competenze e tramite l’espressione di raccomandazioni, affinché la scelta del percorso post obbligatorio sia libera ma adeguatamente informata. La media matematica conferisce una falsa sicurezza all’allievo che la ottiene: meglio una sana discussione sulle reale capacità e prospettive, che lascerà liberi poi allievo e famiglia di fare scelte anche non consigliate. Sono le persone che devono scegliere il loro futuro in base al loro reale bagaglio formativo, non la scuola. Certo che poi nel settore post obbligatorio la scuola sarà esigente, proprio perché la scelta è stata fatta dall’allievo stesso.

A breve dovrebbe avvenire per la scuola che verrà il fatidico passaggio dalla fase di consultazione a quella di sperimentazione sul campo. Innanzi tutto: è già possibile tracciare un bilancio di questa prima fase?

Stiamo analizzando le prese di posizione (la consultazione è terminata il 31 marzo) ed allestendo il messaggio che chiede il credito per la sperimentazione a partire dal settembre 2018. Il messaggio uscirà entro la pausa estiva e il dibattito è previsto per settembre-dicembre 2017. Oggi non sono ancora in grado di tracciare un quadro preciso di questa consultazione, ma diciamo che di base da una parte c’è accordo sull’opportunità di intervenire, e dall’altra discrepanze nelle posizioni sul come farlo.

Al suo annuncio nel 2014, l’opinione pubblica ticinese si era molto interessata al progetto di riforma scolastica e si sono sollevate anche molte voci critiche. Il DECS ha potuto notare un’evoluzione dell’opinione pubblica durante questi tre anni?

Sapere cosa pensa l’opinione pubblica è difficile, perché i media riportano solo alcune voci, più o meno rappresentative. In questi mesi i membri del gruppo di lavoro hanno incontrato tutti i docenti e quadri della scuola dell’obbligo in 40 incontri di presentazione e dialogo: abbiamo incontrato genitori, bibliotecari, associazioni economiche, eccetera. Io stesso, nel corso del mio ordinario periplo quadriennale in tutti i plenum dei docenti delle scuole cantonali, ho spesso avuto occasione di confrontarmi sul progetto con i diretti interessati. La scuola che verrà aveva anche un sistema di consultazione online tramite questionario, con il quale abbiamo raccolto circa un migliaio di risposte individuali. In generale, la sensazione è che l’interesse ci sia, che il progetto sia compreso ma che sussistano alcune preoccupazioni o perplessità tra i docenti finché non si vedrà nel dettaglio cosa cambierà e come funzionerà il nuovo sistema. Per quanto riguarda i genitori, in genere apprezzano largamente il superamento del sistema a livelli. Di più per ora non posso dire

Quindi possiamo dire che l’opinione degli addetti ai lavori è positiva? In questo caso quindi c’è una discrepanza tra le posizioni delle associazioni di categoria e quelle dei singoli interessati…

Certamente, ma è normale. C’è sempre una distanza tra le posizioni ufficiali e quelle reali, che sono per definizione più sfumate e sfaccettate: anche se le prime vanno ai media e ne abbiamo un riscontro facile, le seconde sono da capire nel corso degli incontri diretti.

È stato quindi importante andare sul campo. La consultazione ha permesso di calibrare alcuni punti in particolare?

Ha permesso di capire quali siano le preoccupazioni dei docenti di fronte alle novità, di correggere il progetto, ma anche di spiegare che accanto alle novità richieste agli insegnanti il progetto offre condizioni di lavoro migliori di oggi. Il suo costo è dato proprio dai miglioramenti per i docenti.

Parlando di preoccupazioni: molte delle reazioni istituzionali (da ultime quelle dei Verdi e dell’OCST ad esempio) hanno lodato l’intento di riformare la scuola, criticando però nel progetto alcuni punti precisi (tra i quali proprio l’abolizione dei livelli nella scuola media, ad esempio) e, soprattutto, i costi.

La consultazione pre-riforma è costata poco, è la generalizzazione dopo la sperimentazione che costerà, ma l’investimento è ben riposto. Come detto si tratta principalmente di costi legati all’aumento del carico orario del corpo docente. Sui livelli credo si inizi a capire che il tema non è la loro semplice abolizione, amalgamando tutti gli allievi, ma la sostituzione di questo sistema discriminante con altre modalità di lavoro in piccoli gruppi, più flessibile e più accogliente verso quegli allievi, la maggioranza, che non stanno né nel gruppo dei molto bravi (15%), né in quello dei molto deboli (15%).

Parlando di aumento del carico orario, ci si può immaginare che il numero dei docenti dovrà per forza aumentare: si prevedono nuovi incarichi? In Ticino si formano abbastanza docenti o si dovrà potenziare il tanto vituperato DFA?

Il progetto richiede più ore-docente, quindi questo fabbisogno dovrà essere coperto. Ma questa è musica del futuro, della fase di generalizzazione.

La scuola che verrà

Dettaglio del dépliant « La scuola che verrà »

Qual è, dunque, il futuro (più o meno prossimo) che si prospetta per la scuola ticinese?

Spero sia un futuro roseo, e lo sarà se la collettività, superando le divisioni artefatte, deciderà di investire maggiormente in una scuola che è già di buon livello, ma che merita maggiore attenzione. È il regalo migliore che la nostra società può farsi, sostenendo le giovani generazioni nel loro impegnativo percorso formativo.