di EMILY CALABRO
Davide Orecchio nasce nel 1969 a Roma, città dove vive e lavora ancora oggi. Storico di formazione, svolge attualmente la professione di giornalista presso Nazione indiana, sito web che si occupa di promozione letteraria. Il suo esordio come scrittore avviene con la pubblicazione della sua prima opera Città distrutte. Sei biografie infedeli (2011), una raccolta che unisce il genere biografico e la finzione, grazie alla quale vince in premio Supermondello.
Mio padre la rivoluzione è il suo terzo romanzo, pubblicato nel 2017 presso la casa editrice Mininum fax. Il libro presenta una forma relativamente ibrida: un incrocio tra il saggio e il romanzo.
È articolato in dodici capitoli, ognuno dei quali è basato su un episodio a sé stante inerente alla Rivoluzione russa e al partito comunista sovietico. Nei vari episodi, l’autore modifica alcuni fatti storici, li rielabora e attribuisce loro un andamento diverso. Orecchio unisce alla sua finzione un’accurata ricerca storica che punta a riprodurre il pensiero di alcuni personaggi di quell’epoca (come Lev Trockij) oppure creando personaggi fittizi basati su importanti personalità (Iosif Adolf Vissarionovic, del capitolo quattro, viene creato a partire da Hitler e Stalin).
L’elemento che merita una particolare attenzione in Mio padre la rivoluzione è sicuramente l’elaborazione dello stile e del linguaggio. È proprio lo stile, infatti, a permettere il legame tra episodi, eventi e livelli temporali. Possiamo certamente lodare lo sforzo effettuato dall’autore per uscire dagli schemi e proporre un romanzo particolare e anticonformista. La finzione, come detto precedentemente, è ben presente nei diversi capitoli ma, unendosi alla memoria storica, ai riferimenti bibliografici e alle citazioni, crea l’impressione di trovarsi dinanzi un manuale storico.
Il libro non accoglie il lettore ma, al contrario, lo spiazza e lo stupisce. Le verità storiche vengono messe in dubbio, l’ucronia è fortemente presente e, perciò, la finzione deve costantemente essere distinta dal vero. Attraverso molteplici citazioni, lo stile e il linguaggio molto elaborato, Davide Orecchio permette ai lettori di riscoprire quest’epoca affascinante, offrendo però una personale reinterpretazione del passato.
La scrittura è colma di metafore, di analogie e di menzioni storiche che rendono la lettura complicata e che richiedono una costante concentrazione da parte del lettore. Spesso si ha l’impressione di trovarsi davanti ad un susseguirsi di eventi che non portano ad un fine ben definito. Questo linguaggio ricercato, dunque, rende la lettura poco scorrevole e, a tratti, noiosa.
L’uso delle fonti, sfruttate in modo variegato, rende inoltre la lettura poco coerente. Alla fine di ogni capitolo, infatti, Orecchio offre al lettore qualche informazione sulla maniera in cui le fonti citate sono state usate e/o modificate. In certi capitoli la fonte sembra comunque influire pesantemente sul discorso dei personaggi, mentre in altri sembra negarsi, facilitare l’adattamento dell’ucronia e proporre una prospettiva diversa. Osservando il romanzo nel suo insieme è dunque difficile, a volte, capire quale sia veramente l’obbiettivo dell’autore: avanzare delle ipotesi, riprodurre la realtà, reinventarla?
In conclusione, Mio padre la rivoluzione è un romanzo adatto a coloro che cercano diversità e innovazione, in quanto è certamente un libro molto studiato e intelligente. Tuttavia, il dispositivo scelto dall’autore rischia di lasciare molti lettori perplessi e insoddisfatti. È probabile che, alla prima lettura, si abbia semplicemente l’impressione di trovarsi di fronte ad un esperimento letterario non andato a buon fine.