Le tre del mattino di Gianrico Carofiglio
Recensione

di DANIELE SAPIENZA

 

Le tre del mattino, pubblicato a ottobre del 2017 da Einaudi, si inserisce da un punto di vista tematico nella categoria dei racconti di formazione.
Questo nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio si caratterizza per una narrazione in prima persona. L’autore narra di una storia che ha come personaggi principali un padre ed un figlio. La voce narrante è Antonio, un ragazzo, diventato adulto, il quale racconta un periodo della propria vita risalente all’età adoloscenziale, racconto durante il quale cui affronta i nodi irrrisolti del sofferto rapporto con il padre.

Antonio, sin da giovane età, si è dovuto confrontare con l’epilessia idiopatica e con la separazione dei propri genitori (entrambi insegnanti). Il padre non è solo un insegnante abbastanza noto in città, ma anche un matematico di una certa importanza, mentre la madre è una insegnante di lettere, completamente assorbita dal suo lavoro. Un giorno il padre, constatando come la malattia del figlio sia diventata difficile da gestire, decide di recarsi con lui a Marsiglia, presso il Dottor Gustaut: uno dei maggiori esperti, a livello internazionale, della malattia con la quale il giovane si trova quotidianamente a dover fare i conti. Antonio viene sottoposto ad una visita con esito positivo, grazie alla quale ha modo di tornare a vivere un’esistenza praticamente normale in ogni aspetto, pur sempre con l’assunzione di farmaci.
Per tre anni le cose sembrano andare nel migliore dei modi, fino ai primi giorni di giugno del 1983, periodo in cui il padre e il figlio, ormai diciottenne, tornano a Marsiglia per un consulto decisivo. Antonio sembra essere guarito, ma il dottore per avere la certezza che la malattia sia stata sconfitta, decide di fargli sostenere un esame che il mondo della scienza ha da tempo inserito tra quelli non solo sconsigliati, ma addirittura vietati, ovvero la “prova da scatenamento”. Antonio dovrà rimanere sveglio per 48 ore consecutive, senza dover prendere i propri farmaci abituali, mentre per evitare di addormentarsi deve assumere delle medicine specifiche per inibire il sonno. Questa particolare situazione imprevista e costrittiva porterà padre e figlio ad avere un dialogo che in passato non hanno mai avuto, a causa dei loro caratteri così diversi e della situazione familiare che ha inciso profondamente sul rapporto che Antonio ha negli anni instaurato con entrambi i genitori.
Nelle 48 ore che seguono i due protagonisti principali si scoprono e si raccontano, come se si fossero incontrati per la prima volta, mettendo a nudo le proprie umane fragilità. Un padre che nella prima parte sembra non svelarsi molto, rispetto invece ad un figlio-adolescente che, davanti all’occasione della sua vita, si lascia trasportare dal bisogno, misto all’urgenza, di conoscere suo padre. Si susseguono nei dialoghi molteplici digressioni e flashback di entrambi i personaggi: da parte di Antonio i cui ricordi e i pochi momenti felici vissuti insieme ai propri genitori risalgono a quando aveva nove anni, e da parte del padre, che racconta al figlio episodi della propria adolescenza. Sono passaggi importanti che contribuiscono a rendere interessante quest’opera e inducono nel lettore spunti di riflessione sia oggettivi che individuali. La storia termina con la guarigione definitiva di Antonio, il quale riesce a superare la prova da scatenamento.

Ultimata la lettura di questo libro, sulla base delle prime impressioni circa la storia e i propri personaggi, si potrebbe ritenere che i protagonisti del racconto abbiano tutti dovuto affrontare una prova in parallelo a quella della malattia di Antonio (uno in qualità di padre e l’altro di figlio), e che tale esperienza li ha probabilmente cambiati come uomini. Al termine della storia viene spontaneo domandarsi se il rapporto tra i due si sia realmente sanato, oppure se semplicemente entrambi hanno preso coscienza dei propri limiti e delle proprie debolezze come essere umani indipendentemente dal legame di sangue che li unisce. Non solo, ma verrebbe naturale individuare un filo conduttore che lega il classico rapporto genitori-figli alla malattia del ragazzo (sia nella sua evoluzione sia nell’epilogo finale) nella figura di un genitore che accompagna il proprio figlio fuori da una fase per sua natura tumultuosa ed emblematica della propria vita (quale è quella adolescenziale), rappresentata nel libro dall’impasse della malattia di Antonio, verso una nuova fase di vita adulta. Per finire con la guarigione, il ritorno a casa e i due protagonisti che, profondamente cambiati, riprendono ciascuno il proprio cammino individualmente.

Tra i tanti passi che si potrebbero citare, ne va ricordato uno, in cui l’autore mette a confronto la complessità della matematica con quella della vita, in un passaggio apparentemente ironico, dove il padre di Antonio afferma che «se la gente crede che la matematica non sia semplice, è soltanto perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita».