Comunicare a un pubblico globale: intervista ad Alessandra Vellucci
La direttrice del servizio di informazione dell'Onu di Ginevra spiega come si parla al mondo intero, come far seguire quel che accade nel Palais des Nations fino a Vanuatu

Alessandra Vellucci, Direttrice, Servizio dell’informazione delle Nazioni Unite, Palais des Nations. UN Photo by Violaine Martin

di KIMBERLY GULIZIA

Alessandra Vellucci è la direttrice del Servizio dell’informazione delle Nazioni unite a Ginevra, il secondo polo di informazione dell’Onu. Oltre ad essere portavoce della sede ginevrina dell’Organizzazione, si occupa di supervisionare l’attività dell’ufficio che tiene le le relazioni con i giornalisti e di quelli delle relazioni esterne e interne.

Cosa l’ha spinta a interessarsi a questo settore?

Ho studiato scienze politiche e relazioni internazionali; volevo lavorare alle Nazioni Unite, ma non sapevo in quale veste, anche quando vi sono entrata non avevo un’idea precisa. Uno dei concorsi adatti a chi aveva le mie qualifiche era quello di addetto all’informazione. È una cosa che ho sempre amato fare. Anzi, comunicare è una delle cose che mi interessavano di più, già all’università lavoravo nel giornale dell’ateneo. Ho fatto domanda, ho passato l’esame e l’ho vinto. Così ho cominciato questa carriera. Ho lavorato tanto anche nella formazione; le mie due carriere sono state formazione e informazione.

Come si svolge una sua giornata tipo?

“Never a dull moment in UN’s Geneva”, cioè “ogni giorno porta la sua novità”, diceva la mia predecessora. Non ci sono delle vere e proprie giornate tipo, ma ad esempio il martedì e il venerdì alle 10h30 abbiamo il briefing con i giornalisti, che preparo in anticipo con i miei colleghi e con i nostri assistenti, per sapere quello che sarà detto e come si svolgerà, in modo che ci sia già un tracciato. Dopo la conferenza stampa, i miei colleghi preparano le foto, i video, scrivono le news e le trasmettono. Invece per me la giornata in genere è cadenzata dalle riunioni; ce ne sono veramente tante! Soprattutto adesso che tutto è “mezzo virtuale”, se ne tengono tante anche con New York il pomeriggio, riunioni a cui partecipano tutte le sedi dell’Onu. E poi c’è la posta elettronica! Assorbe 2/3 del mio lavoro: le domande dei giornalisti sono numerose, riceviamo tante sollecitazioni, dato che ci sono molti progetti in corso.

In che modo riesce a gestire i suoi vari incarichi?

Ci vuole tanta organizzazione! Ho 38 persone che lavorano con me; sono in molti a lavorare su vari temi. Il problema è che li devo coordinare ed avere un ruolo di supervisione, quindi devo comunque conoscere il lavoro delle varie sezioni. E i miei colleghi in genere vengono da me non per dirmi “guarda abbiamo fatto questa bella cosa” ma “guarda che c’è un problema, ci puoi aiutare?” quindi fa parte del mio lavoro conoscere tutto quello che succede, le difficoltà che ci si presentano e spiegare quali sono i nostri obiettivi.

Quali sono gli obiettivi che si pone nell’esercizio della sua professione?

Per me la cosa più importante è tenere sempre in mente che noi siamo la voce delle Nazioni unite e in questo senso non ci può essere nessun compromesso sul tipo di informazione che diamo, sul rigore e sull’onesta di quest’ultima. L’obiettivo più importante è dare una informazione accurata, giusta (per quanto si può), suscitare l’interesse delle persone che ci ascoltano, e cercare in qualche modo di cambiare le cose per il meglio. Poi chiaramente ci sono degli obiettivi più logistici e tecnici, come ad esempio far funzionare un servizio di quasi 40 persone e coprire gli eventi che si svolgono nel palazzo dell’Onu tramite webcast: se una persona è seduta a Vanuatu, può sentire quello che succede a Ginevra. Seguiamo anche le riunioni, cioè i miei colleghi ne scrivono il riassunto e questi restano come testimonianza di ciò che è stato detto. Altri colleghi con competenze più giornalistiche scrivono le news. Il lavoro che noi facciamo è l’unico modo che ha l’Onu di Ginevra per far conoscere il suo lavoro al mondo intero.

Quali sono i risultati che ha ottenuto di cui va più fiera?

I risultati non sono mai solamente miei, ma di tutta la squadra e ne sceglierei due. Il primo è essere riusciti a far funzionare il servizio, e quindi a continuare a parlare al mondo, durante la crisi del Covid. Siamo stati presi completamente alla sprovvista, ma in una settimana ci siamo organizzati attraverso delle piattaforme virtuali e tutta la Ginevra internazionale ha parlato con la nostra piattaforma, tenendo viva la conversazione e l’interesse per l’attività dell’Onu in un momento in cui il mondo doveva sapere quello che succedeva e quello che diceva l’Onu a Ginevra. Il secondo riguarda il conflitto libico, soprattutto quando i belligeranti sono venuti a Ginevra e l’inviata speciale dell’Onu per la Libia è riuscita a farli accordare su un armistizio; abbiamo fatto vedere al mondo che questi due eserciti avevano firmato, il che voleva dire una guerra che si ferma per milioni di persone. E anche quando l’intermediario dell’Onu ha portato a Ginevra 75 delegati per decidere il processo elettorale e le elezioni dei rappresentanti del comitato elettorale, permettendo ai libici di votare alla fine di quell’anno: abbiamo fatto da Ginevra un’operazione di comunicazione che ha permesso a tutto il popolo libico, e a chiunque fosse interessato, di vedere i dibattiti e seguire le elezioni in diretta! Queste sono le cose che ci consentono di dire che abbiamo comunicato veramente: la gente ha potuto vedere ciò che succedeva, interessarsi e sapere quali fossero le azioni introdotte che avrebbero cambiato in meglio la loro vita.

Quali sono le difficoltà che ha incontrato o che incontra tutt’ora nel suo mestiere?

Sicuramente una mancanza di fondi rispetto ai mandati che riceviamo e che sono sempre più numerosi. Altrimenti devo dire che il nostro ambiente di lavoro è molto buono, non potrei dire di avere delle grosse difficoltà, forse più che altro la mancanza di tempo per fare tutto quello che si deve fare. Anche questo è un problema che non credo sia solo mio. A volte è un pochino frustrante, come nel caso della mancanza di fondi dal punto di vista del multilinguismo; noi vorremmo parlare a tanta gente nella loro lingua, ma non ci sono i fondi per pagare gli interpreti durante le conferenze stampa. Abbiamo visto l’interesse di questo quando abbiamo lanciato il nostro sito Twitter in francese. Noi siamo in un Paese parzialmente francofono, quindi subito ha avuto un grosso successo.

Quale percorso di studi è necessario seguire per lavorare nel settore della comunicazione?

Io dico sempre ai giovani che la prima cosa più importante, che si voglia lavorare all’Onu o anche per un giornale o per la televisione, è imparare le lingue; bisogna conoscere due se non tre lingue tra le sei dell’Onu. Sono i primi mattoni di una carriera di comunicazione, a livello internazionale e nazionale. Poi è necessario seguire studi universitari centrati sulla comunicazione e sapere quello che si vuole fare come comunicatore; se ci si vuole occupare di giornalismo scientifico, ad esempio, si deve avere una conoscenza del settore. Noi facciamo comunicazione di tipo internazionale, quindi fare studi di scienze politiche e diritto internazionale è veramente utile. È necessaria una padronanza completa delle tecniche e degli strumenti delle politiche di comunicazione; si può anche essere un ottimo intenditore di questioni scientifiche, ma se non si ha un’attitudine, una capacità di comunicarle, non si è buoni comunicatori. Ed infine è necessaria anche una buona pratica, perché bisogna capire cosa significa, ad esempio, scrivere un comunicato stampa sotto pressione, con una deadline. Per tale scopo, un’esperienza alle Nazioni unite è veramente utile per poter poi tentare di accedere attraverso il concorso opening; quando dico esperienze all’Onu intendo degli stages, se si possono fare e se si ha la possibilità finanziaria anche di farlo, perché gli stages all’Onu, purtroppo, non sono pagati.

Quale suggerimento darebbe a chi ha interesse per questo settore e vorrebbe seguire il suo percorso?

È necessario essere tenaci, perché è diventato veramente molto competitivo entrare alle Nazioni unite con il concorso. Quello che dico spesso, e veramente vorrei ribadire in questa occasione, è che non si entra necessariamente all’Onu con un concorso nazionale quando si è giovani; una persona può lavorare 20 anni in un giornale e poi orientarsi ad un certo punto verso una carriera più internazionale, partecipando a un concorso per un posto senior, perché no?

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