Una Fede femminista?
Michela Murgia non ha mai fatto mistero del suo essere cattolica ma al tempo stesso militante per i diritti delle donne. Nel suo saggio tenta di mostrare che ciò è possibile senza contraddizioni

di MARIA CESTONE

Il tema affrontato nel nuovo libro di Michela Murgia « God save the queer – catechismo femminista” edito da Einaudi era già stato anticipato in « Ave Mary – e la chiesa inventò la donna » uscito nel 2011 e in generale è un tema che ritorna a più riprese nelle interviste e nei discorsi di Michela Murgia: non ha mai fatto mistero, infatti, del suo essere profondamente cattolica ma al tempo stesso femminista. Due etichette che appaiono sotto molti punti di vista inconciliabili e contraddittorie tra loro. 

Nelle 120 pagine di questo Michela Murgia cerca di rispondere alla domanda che si è vista porre a più riprese nel corso della sua vita e cioè la maniera in cui riesce a far convivere il suo essere una femminista attivista e la sua fede nel cattolicesimo. Si propone cioè di «capire quali aspetti della vita e della spiritualità siano davvero inconciliabili come sembrano e soprattutto se questi aspetti siano realmente fondativi della professione di fede e non un’eredità storica che è doveroso ridiscutere ogni giorno alla luce del Vangelo e della propria intelligenza. Da cristiana confido nel fatto che la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando ad ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio».

Questo saggio dona spunti di riflessione interessanti ed è un lavoro necessario per comprendere meglio le donne che decidono di non rinunciare alla propria religione  (atto che di per sé può essere considerato femminista e che si integra perfettamente con il concetto di intersezionalismo che contraddistingue la corrente femminista principale di questo periodo storico) come soggetti attivi e non come donne passive e incapaci di rinunciare ad un sistema che nel concreto svaluta la donna e la subordina al modello patriarcale. 

 Tuttavia non si può negare che a volte le argomentazioni portate dall’autrice siano un po` troppo romanticizzate e universalizzate. Michela Murgia dedica buona parte del libro alle sensazioni che ha provato e alle riflessioni che le ha suscitato il quadro della trinità di Rublev. Riflessioni estremamente interessanti sul concetto di queerless applicato alla figura di Cristo e di come solitamente la trinità invece venga rappresentata in maniera conforme alle aspettative della società patriarcale; scelta a cui Rublev nel 1400 non si conforma. Per quanto il ragionamento della scrittrice possa essere interessante a livello concettuale, trascura il fattore soggettivo della sua analisi. Un quadro che rappresenta tre figure fluide (cioè di cui non si è in grado di stabilire con certezza il sesso) non può presuppone necessariamente che ciò che oggi l’autrice difende come femminista intersezionale sia ciò che il cristianesimo vuole dire. 

L’autrice, inoltre, utilizza anche citazioni delle sacre scritture a supporto della propria tesi. Tuttavia, come esistono passi più inclusivi, ne esistono altri, al contrario, terribilmente gerarchici ed esclusivi. Di fatto, Michela Murgia ha  cercato dei piccoli frammenti delle scritture e dell’iconografia cristiana per legittimare una coesione tra femminismo e fede cristiana. A supporto di questa interpretazione differente di alcuni passi della Bibbia e del Vangelo, la scrittrice  fa una distinzione:  quella del Cristianesimo come fede e del Cristianesimo come istituzione (che poi ha portato alla formazione della Chiesa che noi conosciamo). 

Michela Murgia in God save the queer  spiega che il messaggio di Gesù è in realtà molto inclusivo nonostante la religione cattolica (nel senso di istituzione), per fattori organizzativi, di natura sia sociale che economica, sia stata fortemente escludente e maschilista. “Il cristianesimo di quello snodo storico deve tenere insieme la contraddizione di proclamare l’assoluta novità di Cristo e allo stesso tempo restare percorribile per chi, appartenendo a gruppi pivilegiati, non ha alcuna volontà di ribaltare il proprio stile di vita.”

Ma una distinzione di questo tipo è effettivamente pertinente e possibile concretamente? Considerando che quello cattolico è un contesto religioso in cui per secoli le sacre scritture sono state precluse alle persone comuni, facendo sì che le rappresentazioni grafiche e la parola della Chiesa fossero l’unico modo – l’unico linguaggio – per avere un contatto con Cristo, viene da domandarsi: in quale misura oggi si è davvero in grado di creare una divisione netta? Inoltre, in che misura un cambiamento solamente dal basso (cioè da parte di quella nicchia di pochi credenti che hanno letto le sacre scritture e hanno i mezzi per comprenderle) può essere sufficiente per stabilire questa distinzione ? Michela Murgia stessa ha più volte sottolineato come il linguaggio possa creare la realtà (ha scritto anche un saggio su questo, nel 2020: “Stai zitta”) perciò ci si domanda come mai sono fattori che ha trascurato all’interno del sua analisi. 

Per concludere, God save the queer – catechismo femminista è un libro che merita di essere letto perché crea nuove piste di riflessioni, ciononostante va letto con la giusta dose di criticità sul metodo con cui affronta questo discorso sulla possibile vicinanza tra cristianesimo e femminismo intersezionale.