Più luce sulla violenza
Dacia Maraini, dodici racconti su vittime e carnefici

di ILARIA GARZONI

Buio è la settima opera narrativa della poliedrica scrittrice fiesolana Dacia Maraini (1936), autrice non solo di romanzi, ma anche di poesie, di pièces teatrali e di saggi. Pubblicato nel 1999 e vincitore del Premio Strega nello stesso anno, il libro si presenta come il perfetto emblema dell’impegno sociale che da sempre contraddistingue la produzione marainiana, improntata, in particolar modo, a far emergere la condizione della donna all’interno della società e attraverso i secoli. Tuttavia, in Buio, una raccolta di dodici brevi racconti accomunati dal tema comune della violenza, la Maraini non si occupa solo di donne: nelle pagine del libro diventiamo spettatori di crude vicende ispirate alla cronaca contemporanea che coinvolgono anche uomini e bambini le cui vite convergono verso un destino di omicidi e soprusi. Partendo dallo stupro di Gram, bimbo trascurato dai genitori e brutalmente ucciso da chi gli aveva promesso di volare, sino ad arrivare alle violenze subite da Agatina, gettata tra le braccia del suo carnefice dalla nonna, la raccolta si compone di storie agghiaccianti, i cui protagonisti sono le vittime di una società nella quale il denaro ha più valore dell’amore, e nella quale gli stereotipi e i pregiudizi la fanno ancora da padrone.

Ne è l’esempio Tano, bambino di undici anni che ripetutamente denuncia il padre per abusi sessuali e che non viene creduto, o il manovale musulmano Ahmed, accusato ingiustamente di aver torturato e ucciso due ragazze, e ancora Paolo Gentile, assassinato dal padre perché omosessuale. La Maraini ritrae, servendosi di una scrittura tanto essenziale da sembrare giornalistica, i mostri che abitano la parte più oscura della nostra realtà, quella che forse non si ha il coraggio di guardare negli occhi e che per questo si avverte, superficialmente, come distante. Avanzando nella lettura, invece, siamo costretti a confrontarci con essa e a prendere consapevolezza di quanto risulti più facile, oggi, credere a un padre di famiglia sposato da diciott’anni che si dice ferito dall’odio dei propri figli adolescenti piuttosto che a un ragazzino che a undici anni appena “sta sempre con il naso nei libri”; o di quanto sia più rassicurante pensare che a compiere un efferato delitto sia stato uno straniero mal integrato piuttosto che un giovane avvocato di successo.

Che si tratti di abusi su minori o su adolescenti, di riduzione in schiavitù, di aggressioni o di efferati omicidi, il fil rouge della raccolta, al di là della violenza, sembrerebbe essere l’attenzione rivolta dall’autrice al contesto nel quale queste atrocità si consumano e le reazioni che ne scaturiscono. Attraverso il personaggio della commissaria Adele Sòfia -che ricompare in ogni racconto e che con determinazione, intuito e umanità riesce sempre a giungere alla risoluzione dei casi- ci addentriamo in realtà molto diverse tra loro: quella di un bambino costretto a trascorrere intere giornate da solo, quella di una famiglia nella quale da anni la madre protegge e asseconda la violenza del marito sui figli, ma anche quella di una coppia apparentemente normale, nella quale tutto sembrava funzionare. In ogni episodio l’autrice esamina i diversi punti di vista ponendoci di fronte alle reazioni dei media, dell’opinione pubblica, dei singoli poliziotti e dei vicini.

La violenza è analizzata con precisione scientifica nelle sue diverse fasi, nelle sue ripercussioni e da varie prospettive, con una considerazione peculiare anche per la caratterizzazione dei carnefici, i quali spesso tentano di discolparsi, non si ritengono tali o, addirittura, sono stati a loro volta vittime delle stesse violenze. È proprio questa la più grande ricchezza del romanzo: esso non mira a commuovere i lettori o a suscitare in loro la commiserazione delle vittime, ma al contrario ci fornisce i mezzi necessari per comprendere come e perché questi delitti apparentemente inspiegabili possono verificarsi. L’autrice ci prende per mano e, celandosi dietro il personaggio della coraggiosa Adele Sòfia, ci accompagna in un autentico viaggio nei labirinti della coscienza, che si tratti di quella dei criminali, di quella delle vittime o della nostra. Per questo il libro può considerarsi come una torcia capace di fare luce nel buio: solo conoscendo i più intimi pensieri, le debolezze e le perversioni di vittime e carnefici possiamo spingerci al di là di una solo temporanea partecipazione e renderci davvero conto di quanta sofferenza si nasconda dietro le terribili notizie riportate dalle pagine di cronaca; solo confrontandoci direttamente con la pericolosità del pregiudizio, della paura e dell’omertà diviene possibile comprendere quanto ognuno di noi possa fare la differenza in tale “gioco al massacro”. Proprio questa, del resto, è la consapevolezza che accomuna Dacia Maraini alla figura della commissaria Adele Sòfia, e che ci induce a pensare al personaggio come all’incarnazione letteraria dell’autrice: entrambe, infatti, si addentrano nel “buio” per opporsi alla normalizzazione della violenza e perseguono con coraggio, seppur in modi diversi, il desiderio di agire in favore della giustizia. La prima attraverso una scrittura dalla funzione documentale capace di penetrare nella sensibilità dei lettori, la seconda attraverso un instancabile spirito investigativo che non indietreggia neppure di fronte al più insospettabile dei sorrisi.