“A causare il Covid-19 non è un virus, ma il modo di pensare”: cosa crede una no-mask
Quali convinzioni spingono alcune persone a rifiutare di proteggersi? Abbiamo intervistato una biologa ricercatrice che non si fida degli studi scientifici

di ALINE CAMPONOVO

La pandemia di Covid-19 solleva ancora tante domande, e c’è chi rifiuta anche le risposte supportate da un gran numero di studi scientifici

In un momento dove l’epidemia di Covid-19 torna ad intensificarsi, saturando i reparti di  terapia intensiva degli ospedali, il dibattito riguardo alle misure da prendere si fa sempre più acceso. Alcuni cittadini contestano perfino il fatto che a trasmettere la malattia sia un virus e sostengono che vada cambiato il modo di affrontare la pandemia. Per capire meglio queste rivendicazioni, abbiamo intervistato Maria Müller (un nome di fantasia, ma la vera identità è conosciuta dalla redazione e la professione confermata), biologa ricercatrice in ambito medico (traumatologia) che rifiuta di credere pienamente agli studi scientifici e contesta la gestione della pandemia da parte del Governo. 

Signora Müller, che cosa pensa della gestione attuale della crisi sanitaria da parte della Svizzera?

La Svizzera sta copiando dagli altri Stati. Non potrebbe fare diversamente, ma esagera. Le misure sono troppo rigide: vanno oltre il necessario senza avere la certezza che siano davvero utili. Spesso sono soltanto misure precauzionali. E poi viene tutto drammatizzato oltremisura, ad esempio facendo credere alla popolazione che alcune conseguenze della malattia siano specifiche della Covid-19. La perdita del gusto e dell’olfatto, per esempio, è frequente anche con un banale raffreddore. Di conseguenza, anche le cure che vengono date ai pazienti sono esagerate: all’inizio si somministravano perfino immunodepressivi o si intubava troppo presto.

Ma non le sembra terribile che negli ospedali si sia arrivati al punto che si debba scegliere chi curare e chi no, chi intubare e chi no?

Dove? Non ovunque: qui [nella mia città] non sembrano esserci questi problemi. 

Eppure l’ospedale di *** ha anch’esso lanciato un grido d’allarme.

Secondo me il problema è un altro: il nostro corpo si è indebolito così tanto da non reggere più nemmeno la minima contaminazione. Il risultato è che ora chi è positivo alla Covid-19 viene trattato come un appestato: la gente ne ha paura, teme di prendere chissà che malattia grave; invece non dovrebbe temere che un grosso raffreddore: sono poche le persone che sviluppano sintomi gravi. 

Inoltre ho sentito che negli ospedali ci sono tanti malati che vengono ricoverati quando non sarebbe necessario, potrebbero tornare a casa, mettersi a letto e curarsi da soli. Tanti letti sono occupati da gente che non ne ha bisogno. Per di più pare che in Francia si continuino a ridurre i posti-letto per risparmiare, e ora si lamentano che non ne hanno abbastanza, è un controsenso; queste cose però non si leggono sui giornali.

E poi questa penuria di posti-letto accade ogni anno con l’influenza stagionale, ma quest’anno, con la Covid-19, sono riusciti a farla sembrare un evento straordinario quando non lo è assolutamente.

Per quanto riguarda le misure, oggi in molti luoghi pubblici è obbligatorio portare la mascherina. Lei come si pone di fronte a questa regola?
Non sono per niente d’accordo. Sono convinta che la mascherina non serva: è fatta per la sala operatoria e con queste misure la sala operatoria è stata allargata ovunque. Mi sembra esagerato, ma sono d’accordo di portarla negli ospedali se vado a trovare qualcuno. D’altronde lavoro in ospedale: la porto quand’è necessario e questo non mi crea problemi. Quello che non mi va è che la si debba portare ovunque, anche per fare la spesa e nei trasporti pubblici. Mi dà fastidio il fatto di doverla indossare allorché sono convinta che non serva, anzi: trovo che impedisca di respirare bene, e questo è deleterio. Il vero problema è il tempo che si deve passare con la mascherina: fosse soltanto un quarto d’ora, ma dato che si deve portare ovunque, in fin dei conti la si porta tutto il giorno. Per questo penso sia esagerato. La distanza sociale è sufficiente e mi sembra una misura appropriata.


Eppure diversi studi scientifici hanno mostrato che il virus resta sospeso in aerosol molto a lungo, e che dunque la « distanza sociale » non è sufficiente (sempre che in posti come i trasporti pubblici si possa mantenere). 

La scienza si può comprare. Ormai siamo arrivati al punto che la scienza non è più indipendente: basta chiedere che qualcuno faccia uno studio per dimostrare quello o quell’altro aspetto, e qualcuno per eseguirlo si trova sempre. È vero che sulle superfici e nelle mascherine si trovano queste particelle che noi chiamiamo Coronavirus. Ma non si è mai dimostrato che siano queste particelle a creare la malattia e a trasmetterla. Danno per scontata una supposizione che non è mai stata provata. Va bene cercare di capire quanto vivano, come si diffondano nello spazio, ma se non è quello che provoca la malattia, allora la misura è pressoché inutile. 

Alla redazione non risulta che non sia mai stato provato che a provocare la Covid-19 sia il SarsCov2… Quindi, secondo lei, la mascherina non servirebbe a proteggere né se stessi né gli altri?
Esatto, non in questo caso (la pandemia di Covid-19, ndr).

Però ci sono diversi studi che dimostrano l’efficacia delle mascherine nel contenere le goccioline. Le citerei per esempio due articoli che riportano i risultati di questi studi, quello di Holger Schünemann, apparso il 3 agosto su The Lancet, e quello di Erik Rosenstorm e colleghi del Caltech e dell’Università statale della Carolina del Nord: « High-quality masks can reduce infections and deaths in the Us » che si può leggere su MedRxiv. Lei che è una scienziata, non pensa che questi studi siano affidabili? Non crede nel metodo scientifico?

Sono arrivata al punto che credo che si possa far dire qualsiasi cosa al metodo scientifico. Si  può dimostrare quello che si vuole. Se una persona vuole la prova che le mascherine funzionano, basta ingaggiare uno scienziato che troverà un modo per mostrare che servono, così come basta ingaggiare un esperto indipendente per confermare lo studio.

Però il problema è un altro. Certo, le mascherine riducono la diffusione delle goccioline, questo è un dato di fatto. Io la vedo così: l’origine dell’infiammazione non è l’agente patogeno – quello che noi chiamiamo virus. Insomma non è tramite il virus contenuto nelle goccioline che ci si ammala. Per questo motivo io penso che la mascherina non sia utile. 

Ma allora cos’è questa malattia, come si propaga e perché c’è una vera e propria epidemia?  
Non nego assolutamente che ci sia un’epidemia, né che ci siano malati gravi. Io stessa non sono sicura della natura di questa malattia. Io faccio supposizioni, tratte dalle mie letture di medicina alternativa, ma nemmeno lì si è capito realmente di cosa si tratti. Secondo me non sono particelle materiali, non c’entrano gli atomi, le molecole, ma è una specie di energia. Tutto si gioca a livello energetico, e nel pensiero. In fondo è una malattia del pensiero, un pensiero che si passa da un individuo all’altro. Possono anche essere dei conflitti tra persone, non saprei esattamente di quale genere, e poi varia da persona a persona. Ma possono anche essere delle piccolezze, delle irritazioni, delle quali a volte non ci si accorge nemmeno.

Ma non sono del tutto convinta nemmeno da questa spiegazione, sarebbe bello riuscire a capire esattamente il modo di trasmissione. Non si è fatta ancora tanta ricerca in questo ambito; è una spiegazione che un medico (Hamer) ha scoperto venti o trent’anni fa, e quindi non c’è stato tanto tempo per studiare il fenomeno, contrariamente alla medicina scolastica che viene studiata da secoli. È una visione ancora molto recente della medicina.

Per quanto riguarda lo sviluppo e la propagazione della malattia, c’è da dire che la medicina cinese (TCM) e quella indiana (Ayurveda) non conoscono il contagio. In queste due medicine tradizionali c’è la nozione di “prendere freddo”, o un colpo d’aria. Io l’ho sperimentato su me stessa, ad esempio quando vado in bicicletta di notte e che fa freddo, mi ammalo. Io uso la mascherina così, per proteggere la faccia dall’aria fredda, per non sviluppare il Corona. 

Allora secondo lei come si spiega il fatto che i governi e i medici cantonali si focalizzino sulla medicina scolastica e non propongano soluzioni prossime alla visione ayurvedica o tradizionale cinese?

Buona domanda. Secondo me negli ultimi anni si è creata una classe politica che favorisce la medicina scolastica e l’industria farmaceutica; una specie di lobby, insomma. Il fatto che la medicina alternativa non voglia avere a che fare con i loro prodotti e si trovi al di fuori di questo giro la rende poco interessante. Lo si vede anche nelle università: viene fatta tantissima ricerca in medicina scolastica e pochissima in omeopatia, TCM o Ayurveda. Viene lasciato loro troppo poco spazio, senza possibilità di sviluppo. 

Che cosa si può fare, secondo lei, per proteggersi dalla malattia e per non rischiare di ritrovarsi intubati in ospedale?

Mettere la mascherina quando si va in bici (risata) e quando fa freddo, e poi condurre uno stile di vita sano. È un vero e proprio modo di vivere e di pensare: in pratica si tratta di ascoltare il proprio corpo, limitare lo stress, identificare i conflitti e risolverli, nutrirsi sanamente, uscire all’aria aperta e godersi il sole, che è una cura per molte cose. Bisogna anche mantenere uno stile di vita senza esagerazioni né eccessi, come per il sole: un po’ fa bene, ma non troppo. È importantissimo anche conoscere il proprio corpo per identificare i suoi segnali, i suoi bisogni e i suoi limiti. 

E se si potesse dimostrare a posteriori che i divieti imposti dagli Stati erano la soluzione giusta e che le mascherine hanno permesso di salvare milioni di vite, come si sentirebbe?

Diciamo che stiamo pagando un prezzo altissimo per queste misure, in termini economici, e ciò soprattutto per chi lavora in proprio o per il turismo. Sarei molto contenta se tutti questi sforzi si dimostrassero utili, o che addirittura avessero raggiunto il loro fine.   

Durante la scorsa primavera, però, il lockdown si è dimostrato utile, i contagi si sono ridotti 

È solo un’apparenza. Abbonandomi a riviste di ricerca alternativa ho scoperto diversi studi che dimostrano che il confinamento non è servito, perché ad ogni modo è arrivato troppo tardi, quando i contagi erano già in diminuzione. Dipende anche dal modo in cui la curva è presentata: se il lockdown è stato fatto al momento giusto, può dare l’idea di essere stato l’elemento che ha frenato le infezioni, anche se è solo un caso. La curva sarebbe scesa anche senza confinamento. In Germania, per esempio, è chiaro che questa misura è sopraggiunta semplicemente troppo tardi senza essere realmente utile; in Svizzera è più delicato, perché il lockdown interviene al momento giusto nell’ondata epidemica. Per questo nel nostro Paese sembra abbia funzionato. I grafici stessi parlano chiaro: il lockdown non serve a niente, altrimenti nella curva ci dovrebbe essere una chiara ricaduta o un gradino che coincidono con il confinamento. Invece il grafico è sempre una bella parabola regolare. Sembra che alle autorità faccia comodo che la popolazione si accontenti e creda a spiegazioni “apparenti”. 

Il fatto che il gradino non sia visibile non potrebbe essere a causa del fatto che non tutti abbiano potuto lavorare da casa, o dei contagi interni alle famiglie, o ancora per colpa di chi ha disubbidito ai divieti e ha organizzato comunque feste, incontri o manifestazioni?

Forse. Si potrebbe anche riflettere su questo aspetto. Ma per come vedo io il modo di trasmissione della malattia, un confinamento è del tutto inutile. Quello che sarebbe utile fare al posto di un lockdown sarebbe invece istruire la gente su come proteggersi dalle malattie. Meglio prevenire che guarire.