« Così ho ricomposto il mio corpo dopo la bomba »
Morena Pedruzzi è sopravvissuta all'attentato del 28 aprile 2011 a Marrakech e ha dovuto rimettere insieme i pezzi di sé come nel kintzugi, arte Giapponese di saldare con metallo prezioso ciò che si è frantumato

Risollevarsi. La mia vita dopo un attentato terroristico - Pedruzzi, Morena  - Livres - Amazon.fr

di YANNICK DEMARIA

Unica sopravvissuta ticinese all’attentato jihadista del 28 aprile 2011 a Marrakech, Morena Pedruzzi, ora trentasettenne ed ergoterapista pediatrica, ha trovato la forza e il coraggio, dopo un lunghissimo e faticoso lavoro terapeutico di ricostruzione fisica e psicologica, di pubblicare la sua testimonianza: Risollevarsi. La mia vita dopo un attentato terroristico (Istituto Editoriale Ticinese).

L’attentato al Caffè Argana del 2011, di cui si era parlato in tutto il mondo e che aveva destato grande sgomento nella Svizzera italiana, aveva ucciso 17 persone e ne aveva ferite 25 in modo gravissimo. Fra le vittime, turisti di varia nazionalità, vi furono tre giovani ticinesi: Corrado Mondada, Cristina Caccia e André Da Silva Costa. Dei quattro amici partiti insieme per una vacanza in Marocco e riuniti attorno a uno dei tavolini del locale affacciato sull’affollatissima Jamaa el Fna solo lei si salvò, riportando però profonde ferite soprattutto agli arti inferiori che l’hanno costretta a un lunghissimo periodo di cure intensive fra la vita e la morte e a sopportare numerosi delicati interventi chirurgici e un interminabile processo di riabilitazione.

Morena Pedruzzi ha iniziato subito a scrivere, già dal letto di ospedale, pur con le braccia bendate e bloccate per le ustioni, per tenersi in contatto con le persone più care, ma anche per fissare pensieri e ricordi, soprattutto per non perdere definitivamente i compagni di viaggio morti in Marocco. Ha continuato a scrivere anche dopo. A casa, quando, con le dita e la mente più sciolte, le parole iniziavano a diventare frasi, poi durante l’intero processo della cura psicoterapeutica; infine per la rielaborazione dei materiali e la composizione del testo: “Non avrei mai immaginato di scrivere un libro. Mai. Perché la mia vita mi è sempre sembrata troppo normale per trarne una storia che potesse interessare anche ad altriUna bomba mi ha fatto saltare in aria. Sono andata in mille pezzi e in questi dieci anni il mio unico obiettivo è stato rimettere insieme questi pezzi”.

Il libro è scandito da pagine di diario, lettere, fotografie, post, messaggi, versi di canzoni che rappresentano il contatto con la memoria o il mondo esterno. Le pagine estratte dal diario del fratello Marcello si fondono con la narrazione e permettono, grazie a un punto di vista esterno, una lucida ricostruzione cronologica dei fatti, restituendo la sofferenza e la vicinanza dei genitori (“i pilastri della mia vita”) e di una comunità cui l’opera è dedicata. 

La narrazione procede così per frammenti, come in una sorta di “puzzle”. Questa scelta permette all’autrice, grazie a un costante collegamento fra presente e passato, fra un prima e un dopo,  stabilito da un uso ben dosato dell’analessi, di ricostruire a posteriori la propria vicenda, “passo dopo passo” – rielaborando con cura tutti gli appunti, da quelli scritti con grande fatica negli ospedali di Zurigo (“il tempo sospeso”) –  dopo il ritorno a casa e alla ripresa, ora ancor più consapevole, della sua professione: i compagni di viaggio, la terribile violenza dell’esplosione, la vita e la morte, la musica, la cura nel suo significato più alto.

Ciò che dà valore letterario, oltre che umano, a questa testimonianza è la scelta consapevole di accostare la frammentazione del proprio corpo ferito  (“è il corpo che ti ha salvata”) ai “frammenti sparsi dell’anima”, pazientemente registrati nella sofferenza, per poi “mettere insieme questi pezzi”, “riassemblarli”, ricomporli sulla pagina e nell’unità del testoper ritrovare se stessi e rinascere migliori. 

“Ogni cicatrice ha una data, ha un luogo, ha una storia. Io ho scritto la mia storia sul mio corpo e nella mia anima. Quelle che non vedi sono nell’anima, e sono più difficili da comprendere per gli altri. Il dolore spesso è invisibile”. Utilizzare un metallo prezioso per ricomporre ciò che è andato in frantumi è un’arte giapponese, il kintzugi, a cui metaforicamente l’autrice si riferisce: “Così facendo l’oggetto danneggiato diventa ancora più prezioso di quanto non fosse in origine”.

Sulla copertina del libro la ragazza ritratta di spalle che dondola su un’altalena, scrutando l’orizzonte, è Morena: “In realtà credo che l’equilibrio abbia poco a che vedere con lo stare in piedi, ma sia piuttosto qualcosa che ha a che fare con lo stare interi, senza perdersi, senza andare in mille pezzi. L’equilibrio è proteggersi quando si cade e sapersi rialzare dopo una caduta, ma è anche avere qualcuno che ti aiuti a rialzarti”.

Morena Pedruzzi, “Risollevarsi. La mia vita dopo un attentato terroristico”, Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona, pagg. 160, chf 20